sábado, 24 de octubre de 2020

ARGOMENTI IN TERZA RIMA ALLA "DIVINA COMMEDIA" DI DANTE ALIGHIERI.

ARGOMENTI IN TERZA RIMA ALLA "DIVINA COMMEDIA" DI DANTE ALIGHIERI.

ALL'INFERNO

«Nel mezzo del cammin di nostra vita»,

smarrito in una valle l'autore,

e la sua via da tre bestie impedita,

Virgilio, dei latin poeti onore,

da Beatrice gli apparve mandato

liberator del periglioso errore.

Dal qual poi che aperto fu mostrato

a lui di sua venuta la cagione,

e 'l tramortito spirto suscitato,

senza piú far del suo andar quistione,

dietro gli va, ed entra in una porta

ampia e spedita a tututte persone.

Adunque, entrati nell'aura morta,

l'anime triste vider di coloro

che senza fama usâr la vita corta;

io dico de' cattivi: eran costoro

da moscon punti, e senza alcuna posa

correndo givan, con pianto sonoro.

Quindi, venuti sopra la limosa

riva d'un fiume, vide anime assai,

ciascuna di passar volenterosa.

A cui Caròn: - Per qui non passerai! -

di lontan grida; appresso, un gran baleno

gli toglie il viso e l'ascoltar de' guai.

Dal qual tornato in sé, di stupor pieno,

di lá da l'acqua in piú cocente affanno,

non per la via che l'anime teniéno,

si ritrovò; e quindi avanti vanno,

e pargoletti veggon senza luce

pianger, per l'altrui colpa, eterno danno.

Dietro alle piante poi del savio duce

passa con altri quattro in un castello,

dove alcun raggio di chiarezza luce.

Quivi vede seder sovr'un pratello

spiriti d'alta fama, senza pene,

fuor che d'alti sospiri, al parer d'ello.

Da questo loco discendendo, viene

dove Minós esamina gli entranti,

fier quanto a tanto officio si conviene.

Quivi le strida sente e gli alti pianti

di quei che furon peccator carnali,

infestati da venti aspri e sonanti,

dove Francesca e Polo li lor mali

contano. E quindi Cerbero latrante

vede sopra a' gulosi, infra li quali

Ciacco conosce; e, procedendo avante,

truova Plutone, e' prodighi e gli avari

vede giostrar con misero sembiante.

Che sia Fortuna e la cagion de' vari

suoi movimenti Virgilio gli schiude:

e, discendendo poi con passi rari,

truovan di Stige la nera palude,

la qual risurger vede di bollori,

da' sospir mossi d'alme in essa nude,

dove gli accidiosi peccatori,

e gl'iracundi, gorgogliando in quella,

fanno sentir li lor grevi dolori.

Sopra una fiamma poi doppia fiammella

subito vede, ed una di lontano

surgere ancora e rispondere ad ella.

Quivi Flegias, adirato, il pantano

oltre gli passa, nel qual vede strazio

far di Filippo Argenti, e non invano.

E appena era di tal mirare sazio,

ch'a piè della cittá di Dite giunti,

senza esser lor d'entrarvi dato spazio,

si vide, e quindi da disdegno punti

per la porta serrata lor nel petto

da li spiriti piú da Dio disiunti.

E mentre quivi stavan con sospetto,

le tre Furie infernai sovra le mura

Tesifon, vider, Megera ed Aletto.

Appresso, acciò che l'orribil figura

del Gorgon non vedesse, il buon maestro

gli occhi gli chiuse, e fennegli paura.

Di scender poi per lo cammin silvestro,

per cui la porta subito s'aprío,

mostra, e 'l passare a loro in quella, destro.

Quivi dolenti strida ed alte udio,

che de' sepolcri uscivano affocati,

de' quai pieno era tutto il loco rio:

in quegli essere intese i trascutati

eresiarci, e tutti quelli ancora

ch'a Epicuro dietro sono andati.

Lí, ragionando, picciola dimora

con Farinata e con un altro face,

ch'alquanto a l'arca pareva di fora.

Disegna poi come lo 'nferno giace,

da indi in giú, distinto in tre cerchietti,

e poi dimostra con ragion vivace

perché dentro alle mura i maladetti

spiriti sien di Dite, e nel suo cerchio,

piú che color che ha di sopra detti.

Centauri truova poi sovr'al coperchio

d'un'altra valle sovra Flegetonte,

nel qual chi fe' al prossimo soverchio

bollir vede per tutto; e perché cónte

le vie salvagge, a passar la riviera

Nesso gli fa della sua groppa ponte.

Oltre passati, in una selva fiera

di spirti, in bronchi noderosi e torti

mutati, entraron per via straniera.

Tutti se stessi i miseri avien morti,

che li piangean, divenuti bronconi;

dove gli fe' Pier delle Vigne accorti

delle dolenti lor condizioni

e delle sue; e nella selva stessa,

dopo gli uditi miseri sermoni,

da nere cagne un'anima rimessa

vide sbranare, e seppe a tal martiro

dannato chi la sustanzia, commessa

all'util suo, biscazza. E quindi gîro

piú giú, dove piovean fiamme di foco,

fuor della selva, sovra un sabbion diro;

lá dove Campaneo, curante poco,

vider giacer sotto la pioggia grave

con piú molti arroganti; e 'n questo loco,

seguendo, mostra con rima soave

d'una statua, ch'è di piú metalli,

l'acqua cadere in quelle valli prave,

e quattro fiumi per piú intervalli

nel mondo occulto fare, infino al punto

piú basso assai che tutte l'altre valli.

Poi ser Brunetto abbrusciato e consunto

sotto l'orribil pioggia correr vede,

col quale alquanto, parlando, congiunto,

di sua futura vita prende fede.

Poi, Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi,

Iacopo Rusticucci, infino al piede

di lui venuti, a' lor nuovi dimandi

sodisfa presto; e quinci procedette

dove anime trovò con tasche grandi

sedere a collo, sotto le fiammette,

di loro alcuni a l'arme conoscendo

stati usurieri, e per tre render sette.

Poi, sovra Gerion giú discendendo,

in Malebolge vene, ove i baratti

in diece vede, senza pro piangendo.

De' quali i primi da dimòn son tratti

con grandi scoreggiate per lo fondo,

scherniti e lassi, vilmente disfatti;

lá dove alcun ch'avea veduto al mondo

riconobbe, ch'era bolognese, Venedico, e ruffiano; a cui secondo

Iason venia, che tolse il ricco arnese

a' colchi. E quindi Alesso Interminelli

in uno sterco vide assai palese

pianger le sue lusinghe; e quindi quelli

che sottosopra in terra son commessi

per simonia; e lí par che favelli

con un papa Nicola; ed, oltre ad essi,

travolti vede quei che con fatture

gabbarono non ch'altrui, ma se istessi.

Quindi discendon lá ove l'oscure

pegole bollon chi baratteria

vivendo fece, e di quelle misture,

mentre che van con fiera compagnia

di diece diavol, parla un che fu tratto

da Graffiacan per la cottola via,

sé navarrese dicendo e baratto;

quinci com'el fuggi delle lor mani

racconta chiaro, e de' diavoli il fatto.

Sotto le cappe rance i pianti vani

degl'ipocriti poi racconta, e mostra

Anna e 'l suo suocer nelli luoghi strani

crocifissi giacer. Poi, nella chiostra

di Malebolge seguente, brogliare

fra' serpi vede della gente nostra,

quivi dannati per lo lor furare:

Agnolo e 'l Cianfa ed altri e Vanni Fucci;

li quai mirabilmente trasformare,

dopo nuovi atti, parlamenti e crucci,

e d'uomo in serpe, e poi di serpe in uomo,

in guisa tal, che mai vista non fucci,

discrive. E poi chi mal consiglio, comoda,
come Ulisse, in fiamme acceso andando,

vede riprender dattero per pomo.

Pria con Ulisse, e poscia ragionando

col conte Guido, passa; e, pervenuto

su l'altra bolgia, vede gente andando

tutta tagliata sovente e minuto,

per lo peccato della scisma reo

da lor nel mondo falso in suso avuto.

Lí Maometto fesso discernéo,

e quel Beltram che giá tenne Altaforte,

e Curio e 'l Mosca, e molti qual potéo.

Appresso vide piú misera sorte

degli alchimisti fracidi e rognosi,

u' seppe da Capocchio l'agra morte,

e Mirra e Gianni Schicchi e piú lebbrosi

vide, ed i falsator per fiera sete

ritruopichi fumare stando oziosi:

tra' quali in quella inestricabil rete

vide Sinón, ed il maestro Adamo

garrir con lui, come lègger potete.

Quindi, lasciando l'uno e l'altro gramo,

dal mezzo in su gli figli della terra

uscir d'un pozzo vede, ed al richiamo

del gran poeta intramendue gli afferra

Anteo, e lor sovr'al freddo Cocito

posa, nel quale in quattro parti serra

il ghiaccio i traditor: quivi ghermito

Sassol de' Mascheron nella Caina,

e 'l Camiscion de' Pazzi, ebbe sentito.

Poscia nell'Antenora, ivi vicina,

tra gli altri dolorosi vide il Bocca,

e di Gian Soldanier l'alma meschina,

ed altri molti, ch'ora a dir non tocca,

sí come l'arcivescovo Ruggieri,

ed il conte Ugolino, anima sciocca.

Piú oltre andando pe' freddi sentieri,

spiriti truova nella Ptolomea

giacer riversi ne' ghiacci severi.

Quivi, racconta, l'alma si vedea

di Brancadoria e di frate Alberico,

che senza pro de' frutti si dolea.

Appresso vede l'Avversario antico

nel centro fitto, e Iuda Scariotto,

e Cassio e Bruto, di Cesar nemico,

nell'infima Iudecca star di sotto.

Quindi, pe' velli del fiero animale

discendendo, e salendo, il duca dotto

lui di fuor tira da cotanto male

per un pertugio, onde le cose belle

prima rivide, e per cotali scale

usciron quindi «a riveder le stelle».


AL PURGATORIO


«Per correr miglior acqua alza le vele»

qui lo autore, e, seguendo Virgilio,

pe' dolci pomi sale e lascia il fiele.

Catón primier, fuor dell'eterno esilio,

truovano e seco parlan, procedendo;

poi dánno effetto al suo santo consilio.

Su la marina vede, discendendo

nell'aurora, piú anime sante,

e 'l suo Casella, al cui canto attendendo,

mentre l'anime nuove tutte quante

givan con lor, rimorsi da Catone,

fuggendo al monte ne girono avante.

Incerti quivi della regione,

truovan Manfredi ed altri, che moriro

per colpa fuor di nostra comunione

col perder tempo, adequare il martiro

alla lor colpa; e quindi, ragionando,

del solar corso gli solve il desiro

l'alto poeta sedendosi, quando

Belacqua vider per negghienza starsi;

e giá levati verso l'alto andando,

Bonconte ed altri molti incontro farsi

vider, li quali infino all'ultim'ora,

uccisi, a Dio penâro a ritornarsi.

Quindi Sordel trovar sol far dimora,

il qual, poi che l'autor molto ha parlato

contro ad Italia, il gran Virgilio onora.

Poi mena loro in un vallone ornato

d'erbe e di fior, nel qual, cantando, addita,

a Virgilio Sordello stando allato,

spiriti d'alta fama in questa vita,

tra' quai discesi, il Gallo di Gallura

riceve l'autor; quindi, finita

del di la luce, vede dell'altura

due angeli con due spade affocate

discender ad aver di costor cura.

Poscia, dormendo, con penne dorate

gli par che 'n alto un'aquila nel porti

d'infino al foco; quindi, alte levate

le luci, spaventato, da' conforti

fatto sicur di Virgilio, Lucia

gli mostra quivi loro avere scorti.

Del purgatorio gli addita la via,

dove venuti, qual fosse disegna

la porta, e' gradi onde a quel si salía,

chi fosse il portinaio, che veste tegna,

e quai fosser le chiavi, e che scrivesse

nella sua fronte, e che far si convegna

a chi passa lá dentro pone expresse.

E quindi come en la prima cornice

dichiara con fatica si giugnesse;

ed intagliate in alta parte dice

di quella istorie d'umiltá verace:

poi spirti carchi dall'una pendice

vede venir cantando, ed orar pace

per sé e per altrui, purgando quello

che ne' mortal superbia sozzo face;

tra' quali Umberto ed Odorisi, ad ello

appresso, e simil Provinzan Silvani

piangendo vide sotto il fascio fello.

Oltre passando pe' sentieri strani,

sotto le piante sue effigiati

vide gli altieri spiriti mondani.

Da uno splendido angiolo invitati

piú leggier salgono al giron secondo,

perché li «P» l'autor trovò scemati.

Lí alte voci, mosse dal profondo

ardor di caritá, udir volanti

per l'aere puro del levato mondo;

e poi che giunti furon piú avanti,

videro spirti cigliati sedere,

vestiti di ciliccio tutti quanti,

perché la invidia lor tolse il vedere:

Guido del Duca, Sapia e Rinieri

da Calvol truova lí piangere, e vere

cose racconta di tutti i sentieri

onde Arno cade, e simil di Romagna;

quindi altri suon sentiron piú severi.

Ed oltre su salendo la montagna,

da un altro angelo invitati foro,

parlando dell'orribile magagna

d'invidia, e dell'opposito, fra loro,

e, di sé tratto andando, vide cose

pacefiche in aspetto; né dimoro

fe' guari in quelle, che 'n caliginose

parti del monte entraron, dove l'ira

molti piangean con parole pietose.

Quivi gli mostra Marco quanto mira

nostra potenzia sia, e quanto possa

di sua natura, e quanto dal ciel tira.

Appresso usciti dall'aria grossa,

imaginando vede crudi effetti

venuti in molti da ira commossa.

Quivi gl'invia un angel; per che, stretti

alla grotta amendue, a non salire

dalla notte vegnente fûr costretti.

Posti a sedere incominciaro a dire

insieme dell'amor del bene scemo,

che 'n quel giron s'empieva con martire,

dove, sí come noi veder potemo,

distintamente Virgilio ragiona

come si scemi in uno ed altro estremo,

che sia amor, del quale ogni persona

tanto favella, e come nasca in noi.

L'abate li di San Zen da Verona

con altri assai correndo vede poi

e con lui parla, e seguel nell'oscuro

tempo, con altri retro a' passi suoi,

come sentendo si rifá maturo

d'accidia l'acerbo. Indi ne mostra

come, dormendo in sul macigno duro,

qual fosse vide la nemica nostra,

e come da noi partasi, e, sdormito,

come venisse nella quinta chiostra,

fattogli a ciò da uno angel lo 'nvito.

Quivi giacendo assai spiriti truova,

che d'avarizia piangon l'acquisito

in giú rivolti e, perch'el non sen mova

alcun, legati tutti; e quivi parla

con un papa dal Fiesco; appresso pruova

l'onesta povertá, ed a lodarla

Ugo Ciappetta induce, i cui nepoti

nascer dimostra tutti atti a schifarla,

pien d'avarizia e d'ogni virtú vòti;

e come poscia contro alla nequizia,

passato il dí, cantando, vi si noti.

Quindi, per tutto, novella letizia,

ed il monte tremare infino al basso

dimostra, mosso da vera giustizia.

Qui truova Stazio non a lento passo

salire in su, al qual Virgilio chiede

della cagion del triemito del sasso.

la quale Stazio assegna; indi succede

al priego suo ancora a nominarsi.

Quindi, com'uom ch'appena quel che vede

crede, dichiara Stazio avanti farsi

ad onorar Virgilio, e gli fa chiaro

lui, per contrario peccato agli scarsi,

aver per molti secoli l'amaro

monte provato. E giá nel cerchio sesto,

parlando insieme, uno albero trovâro

donde una voce lor disse il modesto

gusto di molti; e, piú propinqui fatti,

chiaro s'avvider ch'ogni ramo in questo

albero è vòlto in giú, e d'alto tratti

vider cader liquor di foglia in foglia,

e sotto ad esso spirti macri e ratti

vider venir piú che per altra soglia

dell'erto monte, e pure in sú la vista

alli pomi tenean, che sí gl'invoglia.

Cosí andando infra la turba trista,

raffigurollo l'ombra di Forese:

con lui favella; e della gente mista

piú riconobbe, e, tra gli altri, il lucchese

Bonagiunta Orbiccian; poi una voce

all'albero appressarsi lor difese.

Un angel quinci al martiro che cuoce

gl'invita, ed essi, per l'ora che tarda

era, ciascun n'andava sú veloce,

mostrando Stazio a lui, se ben si guarda,

nostra generazione, e come l'ombra

prenda sembianza di corpo bugiarda,

e come sia da passione ingombra:

e, sí andando, pervennero al foco,

prima che 'l santo monte facesse ombra;

lungo 'l qual trapassando per un poco

d'un sentieruolo udîr voci nemiche

al vizio di lussuria, ed in quel loco

piú anime conobbe, che 'mpudiche

furon vivendo, e Guido Guinizelli

gli mostra Arnaldo in sí aspre fatiche.

Ma, poi che s'è dipartito da elli,

a trapassar lo foco i cari duci

confortan lui, ch'appena in mezzo a quelli

il trapassò. Di quindi a l'alte luci

salir gl'invita uno angel che cantava,

pria s'ascondesser li raggi caduci.

Vede nel sonno poi Lia che s'ornava

di fior la testa, cantando parole

nelle quali essa chi fosse mostrava.

Quindi levato nel levar del sole,

Virgilio di sé stesso il fa maestro,

sul monte giunti, e può far ciò che vuole.

Venuti adunque nel loco silvestro

truova una selva, ed in quella si spazia

su per lo lito di Letè sinestro.

Vede una donna, che a lui di grazia

parla e con verissime ragioni:

del fiume il moto e dell'aura il sazia.

Di quinci a vie piú alte ammirazioni

venuto, sette candelabri e molte

genti precedere un carro, i timoni

del qual traeva, con l'alie in sú vòlte,

un grifon d'oro, quanto uccel vedeasi,

l'altro di carne, alle cui rote accolte

da ogni parte una danza moveasi

di certe donne, e nel mezzo Beatrice

del tratto carro splendida sedeasi.

Da cosí alta vista e sí felice

percosso, da Virgilio con Istazio

esser lasciato lagrimando dice.

Appresso questo non per lungo spazio,

con agre riprension la donna il morde,

senza aver luogo a ricoprir mendazio;

per che le sue virtú quasi concorde

li venner meno, e cadde, né sentisse

pria ch'alle sue orecchi, ad altro sorde,

pervenne: - Tiemmi; - onde, anzi ch'egli uscisse, da una donna tratto per lo fiume, l'acqua convenne che egli inghiottisse.

Poi quattro donne, secondo il costume

di loro, il ricevettero, e menârlo

di Beatrice avanti al chiaro lume.

Qual gli paresse il suo viso, pensarlo

ciascun che 'ntende può; poi la virtute

gli mancò qui a poter divisarlo.

I casi avversi appresso, e la salute

della Chiesa di Dio, sotto figmento

delle future come delle sute

cose, disegna; poi il cominciamento

di Tigri e d'Eufrate vede in cima

del monte, e con Matelda va contento,

e con Istazio, ad Eunòe prima;

donde bagnato, e rimenato a quelle

donne beate, finisce la rima,

«puro e disposto a salire alle stelle».


AL PARADISO


«La gloria di Colui che tutto move»

in questa parte mostra l'autore

a suo poder, qual ei la vide e dove.

Ed invocato d'Apollo l'ardore,

di sé incerto, retro a Beatrice

pe' raggi sen salí del suo splendore

nel primo ciel, lá, onde a ciascun dice,

men sofficiente, che retro a sua barca

piú non si metta fra 'l regno felice.

E mentre avanti cantando travarca,

de' segni della luna fa quistione

alla sua guida, e quella se ne scarca.

Poi c'ha udita la sua opinione,

e, premettendo alcuna esperienza,

chiaro nel fa con aperta ragione,

Piccarda vede, e della sua essenza

nel primo cielo «per manco di voto»

con lei favella; e, della sua presenza

partita, Beatrice a lui divoto

qual vïolenza il voto manco faccia

distingue ed apre; e simil gli fa noto

perché gli paia i cieli aprir le braccia

a diversi diversi, e come siéno

però presenti alla divina faccia;

quindi, con viso ancora piú sereno,

se sodisfare a' voti permutando

si possa o no, a lui dichiara appieno;

e nel ciel di Mercurio ragionando

veloci passan. Lí Giustiniano

prima di sé sodisfá al dimando;

appresso, quanto lo 'mperio romano

sotto il segno dell'aquila facesse

gli mostra in parte, e poi a mano a mano,

parlando seco, volle ch'el sapesse

Romeo in quella luce gloriarsi,

che fe' quattro reine di contesse.

Induce poi Beatrice a dichiararsi,

«come giusta vendetta giustamente

fosse vengiata»; e quindi trasportarsi

nel terzo ciel, veggendo piú lucente

la donna sua, s'avvide. Ivi con Carlo

Martel favella, il quale apertamente

gli solve ciò che 'l mosse a dimandarlo,

come di dolce seme nasca amaro;

quindi Cunizza viene a visitarlo,

e del futuro alquanto gli fa chiaro

sovra i lombardi, e con Folco favella,

che gli mostra Raab. Indi montâro

nella spera del sole, onde una bella

danza di molti spiriti beati

vede far festa, e nel girarsi snella;

de' quai gli furon molti nominati

da Tommaso d'Aquin, che di Francesco

molto gli parla poi e dei suoi frati.

Poi scrive un cerchio sovraggiugner fresco

a questo, e 'n quel parlar Bonaventura

da Bagnoreo del calagoresco

Domenico, nel qual fu tanta cura

della fé nostra e dell'orto divino,

quanta mai fosse in altra creatura.

Poi rincomincia Tommaso d'Aquino

com'egli intenda: «Non surse il secondo»

di Salamone, e con chiaro latino

gliele dimostra, ed un lume giocondo

l'accerta lor, piú lieti e piú lucenti,

come i lor corpi riavran del mondo.

Quindi nel quinto ciel di lucolenti

spiriti vede una mirabil croce,

della quale un de' suoi primi parenti

gli fa carezze, e con soave voce

gli si discuopre, e mostra quale stato

Fiorenza avesse, quando nel feroce

e labil mondo fu da pria creato;

quindi le schiatte piú di nome degne

nomina tutte, da lui dimandato.

Poi gli fa chiare le parole pregne

di Farinata, e 'n purgatoro udite,

a lui mostrando del futuro insegne.

Appresso ancor con parole espedite

gli nomina di quei santi fulgori

Iosuè, Iuda, Carlo e piú, scolpite

da lui nel nominar per gli splendori

cresciuti. E quindi nel Giove sen sale,

dove un'aquila fanno i santi ardori

di sé mirabile e bella, la quale

gli solve il dubbio d'un che nato sia

su lito, senza udire o bene o male

di Dio, mostrando quel che di lui fia;

quindi Davit e Traiano e Rifeo

gli mostra, ed altri en la sua luce dia.

Poi 'l chiarisce d'un dubbio che si feo

in lui, de' due che appaion pagani

nel primo aspetto. Quindi uno scaleo,

salito nel Saturno, di sovrani

lumi ripien discerne, onde altro scende

ed altro sale, e con Pier Damiani

ragiona lí; e qual quivi risplende

gli parla e noma piú contemplativi

quel Benedetto onde Casin dipende.

Sal nell'ottavo del poscia di quivi,

e, nel segno de' Gemini venuto,

le sette spere ed i corpi passivi

si vede sotto i piè. Poi conosciuto

Cefas, sua fede e suo creder confessa,

da lui richesto, a lui tutto compiuto.

Con voce appresso lucolenta e spressa

al baron di Galizia la speranza

dice che è, e che spetta per essa;

indi venire a cosí alta danza

Giovanni mostra, il qual del corpo morto

di lui di terra il cava d'ogni erranza.

Poi seguitando, al suo domando accorto,

che cosa sia la caritá, risponde,

e qual da lei gli proceda conforto.

Appresso scrive come alle gioconde

luci s'aggiunse quel padre vetusto

che prima fu da Dio creato, e donde

tutti nascemmo, e per lo cui mal gusto

tutti moiamo: il qual del suo uscire

laonde posto fu, e quanto giusto

in quello stesse, e quanto il gran desire

di quella gloria avesse, e la dimora

quanto fu lunga qui dopo 'l fallire

gli conta, ed altre cose. Indi colora,

quasi infiammato, il vicaro di Dio

contr'a' pastor che ci governano ora.

Poi come nel ciel nono sen salío

discrive, dove l'angelica festa

in nove cerchi vede e 'l suo disio;

di lor natura lí gli manifesta

con sermon lungo assai mirabil cose,

e della turba che ne cadde mesta.

Poi vede le milizie gloriose

del nuovo e dell'antico Testamento,

che bene ovrando a Dio si fêro spose

nel ciel piú alto sovra il fermamento,

dove 'l solio d'Enrico ancor vacante

discerne. E quivi lui, che stava attento

a riguardar le creature sante,

lascia Beatrice, ed in loco di lei

Bernardo con lo sguardo il guida avante,

dove, poi c'ha orazione a lei,

cui seder vede dove la sortiro

gli merti suoi, gli è mostrata colei

che sposa antica fu del primo viro,

Rachel, Sara, Rebecca e 'l gran Giovanni,

che pria il deserto, e poi provò il martíro.

Appresso poi in piú sublimi scanni

Francesco ed Agostino e Benedetto,

e quei che trapassâr ne' teneri anni,

vede, de' quali il dottor sopra detto,

dico Bernardo, ragionando ad ello,

caccia ogni dubbio fuor del suo concetto.

Quindi il santo grazioso e bello

piú ch'altro di Maria gli mostra il viso,

e davanti da lei quel Gabriello

che 'l decreto recò di paradiso

della nostra salute, tanto lieto

che qui per non poter ben nol diviso:

onesto l'uno e l'altro e mansueto.

Adamo e Pietro e poi il vangelista

Giovanni lí seder vede, ripleto

d'alta letizia, e quindi il gran legista

Moisé vede, e poi Lucia ed Anna;

e punto fa alla gioiosa vista.

Appresso, acciò che la divina manna

discenda in lui, e faccial poderoso

a veder ciò per che ciascun s'affanna,

umile quanto può, nel grazioso

cospetto della Madre d'ogni grazia,

insieme col dottor di lei focoso

orando, priega che la vista sazia

del primo Amor gli sia, e per lo lume,

che senza fine profondo si spazia,

ficca degli occhi suoi il forte acume;

poi, disegnando quanto ne raccolse,

termine pone al suo alto volume,

mostrando come in quel tutto si volse

l'alto disio ed alle cose belle,

e come ogni altro appetito gli tolse

«l'Amor che muove il sole e l'altre stelle».


CANTO DECIMOSETTIMO

CANTO DECIMOSETTIMO

[Lez. LX]

«Ecco la fiera con la coda aguzza», ecc. Il presente canto si continua col precedente assai evidentemente, in quanto nella fine del precedente ha dimostrato come, per lo segno fatto da Virgilio, vedesse sotto l'acqua una figura, la qual notando veniva insú, cioè verso la sommitá del fiume; e nel principio di questo dimostra questa figura esser pervenuta a riva. E dividesi il presente canto in tre parti: nella prima discrive la forma della figura venuta; nella seconda dimostra l'afflizione degli usurieri; nella terza dimostra come, salito sopra le spalle di quella figura, insieme con Virgilio fosse passato, e trasportato del settimo cerchio dello 'nferno nell'ottavo. La seconda comincia quivi: «Quivi 'l maestro»; la terza quivi: «Ed io, temendo».

Comincia adunque cosí: - «Ecco la fiera»; chiamala «fiera» dal suo fiero e crudele effetto; «con la coda aguzza», cioè aguta e pugnente piú che alcun ferro, «che passa i monti», cioè le durissime e grandi cose, «e rompe i muri», della cittá e di qualunque fortezza, «e l'armi» (supple) passa e rompe di qualunque fortissimo e ardito cavaliere; «Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza», - cioè corrompe e guasta col suo iniquo è fraudolente adoperare. E dice «ecco» demonstrative, percioché, allora quando Virgilio cominciò a parlare, giugneva questa fiera sopra l'acqua del fiume dal lato loro.

«Sí cominciò», come detto è, «lo mio duca a parlarmi». Poi dice: «Ed accennolle», poi che cosí ebbe detto, «che venisse a proda», cioè sopra la riva del fiume, «Vicino al fin de' passeggiati marmi». Pon qui la spezie per lo genere, cioè «marmi» per «pietre»: è il marmo, come noi veggiamo, una spezie di pietra bianchissima e forte. E dice «passeggiati marmi», percioché, passeggiando, eran venuti su per l'argine del fiume infin quivi; il qual argine ha di sopra dimostrato che era divenuto pietra: vuol dunque qui dire che Virgilio le fece cenno che ella venisse insino al luogo dove essi, passeggiando, erano pervenuti.

«E quella sozza immagine di froda». Manifesta l'autore qui di che cosa questa fiera fosse immagine, e dice che era «di froda»: la qual froda che cosa sia si dimostrerá appresso. «Sen venne», per lo cenno fattole da Virgilio, «ed arrivò», cioé mise sopra la riva, «la testa e 'l busto», cioè il rimanente del corpo; «Ma 'n su la riva non trasse la coda»; e cosí mostra che quella si rimanesse coperta nell'acqua.

«La faccia sua», di questa fiera, «era faccia d'uom giusto, Tanto benigna», mansueta e piacevole, «avea di fuor la pelle», cioè l'apparenza; «E d'un serpente» era «tutto l'altro fusto», della persona di questa fiera. «Due branche», cioè due piedi artigliati, come veggiamo che a' dragoni si dipingono, «avea pelose infin l'ascelle», cioè infino sotto le ditella; «Lo dosso e 'l petto ed amendue le coste», cioè tutto il corpo, fuor che la testa e 'l collo e la coda, «Dipinte avea», ornate, come naturalmente hanno molti animali, «di nodi», cioè di composti, li quali parevano nodi, «e di rotelle», di figure ritonde.

«Con piú color sommesse e sopraposte», a variazion dell'ornamento, «Non fer mai drappi tartari né turchi», li quali di ciò sono ottimi maestri, sí come noi possiam manifestamente vedere ne' drappi tartareschi, li quali veramente sono si artificiosamente tessuti, che non è alcun dipintore che col pennello gli sapesse fare simiglianti, non che piú belli.

Sono i tartari........................................................

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