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viernes, 28 de agosto de 2020

Paradiso, Canto XXX

CANTO XXX

[Canto XXX, ove narra come l'auttore vidde per conducimento di Beatrice li splendori de la divinità e le seggie de l'anime de li uomini, tra le quali vide già collocata quella de lo imperadore Arrigo di Lunzimborgo con la sua corona.]

Forse semilia miglia di lontano

ci ferve l'ora sesta, e questo mondo

china già l'ombra quasi al letto piano,

quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo,

comincia a farsi tal, ch'alcuna stella

perde il parere infino a questo fondo;

e come vien la chiarissima ancella

del sol più oltre, così 'l ciel si chiude

di vista in vista infino a la più bella.

Non altrimenti il trïunfo che lude

sempre dintorno al punto che mi vinse,

parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude,

a poco a poco al mio veder si stinse:

per che tornar con li occhi a Bëatrice

nulla vedere e amor mi costrinse.

Se quanto infino a qui di lei si dice

fosse conchiuso tutto in una loda,

poca sarebbe a fornir questa vice.

La bellezza ch'io vidi si trasmoda

non pur di là da noi, ma certo io credo

che solo il suo fattor tutta la goda.

Da questo passo vinto mi concedo

più che già mai da punto di suo tema

soprato fosse comico o tragedo:

ché, come sole in viso che più trema,

così lo rimembrar del dolce riso

la mente mia da me medesmo scema.

Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso

in questa vita, infino a questa vista,

non m'è il seguire al mio cantar preciso;

ma or convien che mio seguir desista

più dietro a sua bellezza, poetando,

come a l'ultimo suo ciascuno artista.

Cotal qual io la lascio a maggior bando

che quel de la mia tuba, che deduce

l'ardüa sua matera terminando,

con atto e voce di spedito duce

ricominciò: «Noi siamo usciti fore

del maggior corpo al ciel ch'è pura luce:

luce intellettüal, piena d'amore;

amor di vero ben, pien di letizia;

letizia che trascende ogne dolzore.

Qui vederai l'una e l'altra milizia

di paradiso, e l'una in quelli aspetti

che tu vedrai a l'ultima giustizia».

Come sùbito lampo che discetti

li spiriti visivi, sì che priva

da l'atto l'occhio di più forti obietti,

così mi circunfulse luce viva,

e lasciommi fasciato di tal velo

del suo fulgor, che nulla m'appariva.

«Sempre l'amor che queta questo cielo

accoglie in sé con sì fatta salute,

per far disposto a sua fiamma il candelo».

Non fur più tosto dentro a me venute

queste parole brievi, ch'io compresi

me sormontar di sopr' a mia virtute;

e di novella vista mi raccesi

tale, che nulla luce è tanto mera,

che li occhi miei non si fosser difesi;

e vidi lume in forma di rivera

fulvido di fulgore, intra due rive

dipinte di mirabil primavera.

Di tal fiumana uscian faville vive,

e d'ogne parte si mettien ne' fiori,

quasi rubin che oro circunscrive;

poi, come inebrïate da li odori,

riprofondavan sé nel miro gurge,

e s'una intrava, un'altra n'uscia fori.

«L'alto disio che mo t'infiamma e urge,

d'aver notizia di ciò che tu vei,

tanto mi piace più quanto più turge;

ma di quest' acqua convien che tu bei

prima che tanta sete in te si sazi»:

così mi disse il sol de li occhi miei.

Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi

ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe

son di lor vero umbriferi prefazi.

Non che da sé sian queste cose acerbe;

ma è difetto da la parte tua,

che non hai viste ancor tanto superbe».

Non è fantin che sì sùbito rua

col volto verso il latte, se si svegli

molto tardato da l'usanza sua,

come fec' io, per far migliori spegli

ancor de li occhi, chinandomi a l'onda

che si deriva perché vi s'immegli;

e sì come di lei bevve la gronda

de le palpebre mie, così mi parve

di sua lunghezza divenuta tonda.

Poi, come gente stata sotto larve,

che pare altro che prima, se si sveste

la sembianza non süa in che disparve,

così mi si cambiaro in maggior feste

li fiori e le faville, sì ch'io vidi

ambo le corti del ciel manifeste.

O isplendor di Dio, per cu' io vidi

l'alto trïunfo del regno verace,

dammi virtù a dir com' ïo il vidi!

Lume è là sù che visibile face

lo creatore a quella creatura

che solo in lui vedere ha la sua pace.

E' si distende in circular figura,

in tanto che la sua circunferenza

sarebbe al sol troppo larga cintura.

Fassi di raggio tutta sua parvenza

reflesso al sommo del mobile primo,

che prende quindi vivere e potenza.

E come clivo in acqua di suo imo

si specchia, quasi per vedersi addorno,

quando è nel verde e ne' fioretti opimo,

sì, soprastando al lume intorno intorno,

vidi specchiarsi in più di mille soglie

quanto di noi là sù fatto ha ritorno.

E se l'infimo grado in sé raccoglie

sì grande lume, quanta è la larghezza

di questa rosa ne l'estreme foglie!

La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza

non si smarriva, ma tutto prendeva

il quanto e 'l quale di quella allegrezza.

Presso e lontano, lì, né pon né leva:

ché dove Dio sanza mezzo governa,

la legge natural nulla rileva.

Nel giallo de la rosa sempiterna,

che si digrada e dilata e redole

odor di lode al sol che sempre verna,

qual è colui che tace e dicer vole,

mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira

quanto è 'l convento de le bianche stole!

Vedi nostra città quant' ella gira;

vedi li nostri scanni sì ripieni,

che poca gente più ci si disira.

E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni

per la corona che già v'è sù posta,

prima che tu a queste nozze ceni,

sederà l'alma, che fia giù agosta,

de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia

verrà in prima ch'ella sia disposta.

La cieca cupidigia che v'ammalia

simili fatti v'ha al fantolino

che muor per fame e caccia via la balia.

E fia prefetto nel foro divino

allora tal, che palese e coverto

non anderà con lui per un cammino.

Ma poco poi sarà da Dio sofferto

nel santo officio; ch'el sarà detruso

là dove Simon mago è per suo merto,

e farà quel d'Alagna intrar più giuso».

jueves, 20 de agosto de 2020

purgatorio, Canto II

CANTO II

[Canto secondo, nel quale tratta de la prima qualitade cioè dilettazione di vanitade, nel quale peccato inviluppati sono puniti proprio fuori del purgatorio in uno piano, e in persona di costoro nomina il Casella, uomo di corte.]

Già era 'l sole a l'orizzonte giunto

lo cui meridïan cerchio coverchia

Ierusalèm col suo più alto punto;

e la notte, che opposita a lui cerchia,

uscia di Gange fuor con le Bilance,

che le caggion di man quando soverchia;

sì che le bianche e le vermiglie guance,

là dov' i' era, de la bella Aurora

per troppa etate divenivan rance.

Noi eravam lunghesso mare ancora,

come gente che pensa a suo cammino,

che va col cuore e col corpo dimora.

Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,

per li grossi vapor Marte rosseggia

giù nel ponente sovra 'l suol marino,

cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,

un lume per lo mar venir sì ratto,

che 'l muover suo nessun volar pareggia.

Dal qual com' io un poco ebbi ritratto

l'occhio per domandar lo duca mio,

rividil più lucente e maggior fatto.

Poi d'ogne lato ad esso m'appario

un non sapeva che bianco, e di sotto

a poco a poco un altro a lui uscìo.

Lo mio maestro ancor non facea motto,

mentre che i primi bianchi apparver ali;

allor che ben conobbe il galeotto,

gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.

Ecco l'angel di Dio: piega le mani;

omai vedrai di sì fatti officiali.

Vedi che sdegna li argomenti umani,

sì che remo non vuol, né altro velo

che l'ali sue, tra liti sì lontani.

Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo,

trattando l'aere con l'etterne penne,

che non si mutan come mortal pelo».

Poi, come più e più verso noi venne

l'uccel divino, più chiaro appariva:

per che l'occhio da presso nol sostenne,

ma chinail giuso; e quei sen venne a riva

con un vasello snelletto e leggero,

tanto che l'acqua nulla ne 'nghiottiva.

Da poppa stava il celestial nocchiero,

tal che faria beato pur descripto;

e più di cento spirti entro sediero.

'In exitu Isräel de Aegypto'

cantavan tutti insieme ad una voce

con quanto di quel salmo è poscia scripto.

Poi fece il segno lor di santa croce;

ond' ei si gittar tutti in su la piaggia:

ed el sen gì, come venne, veloce.

La turba che rimase lì, selvaggia

parea del loco, rimirando intorno

come colui che nove cose assaggia.

Da tutte parti saettava il giorno

lo sol, ch'avea con le saette conte

di mezzo 'l ciel cacciato Capricorno,

quando la nova gente alzò la fronte

ver' noi, dicendo a noi: «Se voi sapete,

mostratene la via di gire al monte».

E Virgilio rispuose: «Voi credete

forse che siamo esperti d'esto loco;

ma noi siam peregrin come voi siete.

Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,

per altra via, che fu sì aspra e forte,

che lo salire omai ne parrà gioco».

L'anime, che si fuor di me accorte,

per lo spirare, ch'i' era ancor vivo,

maravigliando diventaro smorte.

E come a messagger che porta ulivo

tragge la gente per udir novelle,

e di calcar nessun si mostra schivo,

così al viso mio s'affisar quelle

anime fortunate tutte quante,

quasi oblïando d'ire a farsi belle.

Io vidi una di lor trarresi avante

per abbracciarmi, con sì grande affetto,

che mosse me a far lo somigliante.

Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!

tre volte dietro a lei le mani avvinsi,

e tante mi tornai con esse al petto.

Di maraviglia, credo, mi dipinsi;

per che l'ombra sorrise e si ritrasse,

e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.

Soavemente disse ch'io posasse;

allor conobbi chi era, e pregai

che, per parlarmi, un poco s'arrestasse.

Rispuosemi: «Così com' io t'amai

nel mortal corpo, così t'amo sciolta:

però m'arresto; ma tu perché vai?».

«Casella mio, per tornar altra volta

là dov' io son, fo io questo vïaggio»,

diss' io; «ma a te com' è tanta ora tolta?».

Ed elli a me: «Nessun m'è fatto oltraggio,

se quei che leva quando e cui li piace,

più volte m'ha negato esto passaggio;

ché di giusto voler lo suo si face:

veramente da tre mesi elli ha tolto

chi ha voluto intrar, con tutta pace.

Ond' io, ch'era ora a la marina vòlto

dove l'acqua di Tevero s'insala,

benignamente fu' da lui ricolto.

A quella foce ha elli or dritta l'ala,

però che sempre quivi si ricoglie

qual verso Acheronte non si cala».

E io: «Se nuova legge non ti toglie

memoria o uso a l'amoroso canto

che mi solea quetar tutte mie doglie,

di ciò ti piaccia consolare alquanto

l'anima mia, che, con la sua persona

venendo qui, è affannata tanto!».

'Amor che ne la mente mi ragiona'

cominciò elli allor sì dolcemente

che la dolcezza ancor dentro mi suona.

Lo mio maestro e io e quella gente

ch'eran con lui parevan sì contenti,

come a nessun toccasse altro la mente.

Noi eravam tutti fissi e attenti

a le sue note; ed ecco il veglio onesto

gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?

qual negligenza, quale stare è questo?

Correte al monte a spogliarvi lo scoglio

ch'esser non lascia a voi Dio manifesto».

Come quando, cogliendo biado o loglio,

li colombi adunati a la pastura,

queti, sanza mostrar l'usato orgoglio,

se cosa appare ond' elli abbian paura,

subitamente lasciano star l'esca,

perch' assaliti son da maggior cura;

così vid' io quella masnada fresca

lasciar lo canto, e fuggir ver' la costa,

com' om che va, né sa dove rïesca;

né la nostra partita fu men tosta.

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