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sábado, 24 de octubre de 2020

CANTO OTTAVO, II, SENSO ALLEGORICO

II

SENSO ALLEGORICO

«Io dico, seguitando, ch'assai prima», ecc. Nel presente canto non è alcuna ordinaria allegoria come ne' passati, percioché non ci si discrive alcuna cosa che quasi nel precedente non sia stata allegorizzata; e però alcuna breve cosetta, che ci è, in poche parole si spedirá.

Dicono adunque alcuni le due torri, le quali l'autore scrive essere in questo quinto cerchio, e le fiamme su fattevi, avere a dimostrare il trascendimento della furia degl'iracundi, il quale trasvá sopra ogni debito di ragione; e vogliono le tre fiamme fatte sopr'esse avere a dimostrare le tre spezie degl'iracundi discritte nel canto precedente. Ma questo senso non mi sodisfa, anzi credo e le torri e le fiamme semplicemente essere state discritte dall'autore a continuazione del suo poema; peroché qui parev'essere di necessitá porre alcuna cosa, per la quale segno si désse a Flegias che, dove che si fosse, venisse a dovere li due venuti a riva passare all'altra riva, sí come subitamente venne; e perciò intorno ad esse piú non mi pare da por parole.

Per Flegias, li cui costumi discritti sono poco avanti, assai ben si può comprendere l'autore intendere il vizio dell'iracundia, li cui effetti, quanto piú possono, son conformi a' costumi del detto Flegias. E bene che la pena datagli da Apolline, secondo Virgilio, non sia corrispondente a questo vizio, non perciò toglie che qui per lo detto vizio attamente porre non si possa; conciosiacosaché Virgilio, dove discrive la pena postagli da Apolline, abbia ad alcuna altra sua operazion rispetto, e non a quella per la quale l'autore vuol qui che egli significhi l'iracundia; e, se contro a Virgilio s'osasse dire, io direi che in questa parte l'autore avesse avuta assai piú conveniente considerazione di lui.

Il navicar l'autore con Virgilio nella padule di Stige puote a questo senso adattarsi: essere di necessitá a ciascuno, il quale non vuole nel peccato dell'ira divenire, quanto piú leggiermente può, passare superficialmente le tristizie di questa vita, le quali sono infinite, sempre accompagnato dalla ragione, accioché, non essendosi in quelle oltre al dovere lasciato tirare, possa, senza pervenire nel peccato della ostinazione, del quale nel seguente canto si tratterá, trapassare a conoscer con dolcezza di cuore le colpe che ci posson tirare a perdizione.

Della cittá di Dite, la qual dice l'autore che avea le mura di ferro, e de' demòni, che sopra la porta di quella incontro a Virgilio uscirono, e, oltre a ciò, l'avergli serrata la porta della detta cittá nel petto: tutto appartiene a dover dire con quelle cose, le quali nel seguente canto della detta cittá dimostra. E però quivi, quanto da Dio conceduto mi fia, ne scriverò.

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