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viernes, 28 de agosto de 2020

Paradiso, Canto XXVII

CANTO XXVII

[Canto XXVII, dove tratta sì come santo Pietro appostolo, proverbiando li suoi successori papi, adempie l'animo de l'auttore di questo libro.]

'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo',

cominciò, 'gloria!', tutto 'l paradiso,

sì che m'inebrïava il dolce canto.

Ciò ch'io vedeva mi sembiava un riso

de l'universo; per che mia ebbrezza

intrava per l'udire e per lo viso.

Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!

oh vita intègra d'amore e di pace!

oh sanza brama sicura ricchezza!

Dinanzi a li occhi miei le quattro face

stavano accese, e quella che pria venne

incominciò a farsi più vivace,

e tal ne la sembianza sua divenne,

qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte

fossero augelli e cambiassersi penne.

La provedenza, che quivi comparte

vice e officio, nel beato coro

silenzio posto avea da ogne parte,

quand' ïo udi': «Se io mi trascoloro,

non ti maravigliar, ché, dicend' io,

vedrai trascolorar tutti costoro.

Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio,

il luogo mio, il luogo mio che vaca

ne la presenza del Figliuol di Dio,

fatt' ha del cimitero mio cloaca

del sangue e de la puzza; onde 'l perverso

che cadde di qua sù, là giù si placa».

Di quel color che per lo sole avverso

nube dipigne da sera e da mane,

vid' ïo allora tutto 'l ciel cosperso.

E come donna onesta che permane

di sé sicura, e per l'altrui fallanza,

pur ascoltando, timida si fane,

così Beatrice trasmutò sembianza;

e tale eclissi credo che 'n ciel fue

quando patì la supprema possanza.

Poi procedetter le parole sue

con voce tanto da sé trasmutata,

che la sembianza non si mutò piùe:

«Non fu la sposa di Cristo allevata

del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,

per essere ad acquisto d'oro usata;

ma per acquisto d'esto viver lieto

e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano

sparser lo sangue dopo molto fleto.

Non fu nostra intenzion ch'a destra mano

d'i nostri successor parte sedesse,

parte da l'altra del popol cristiano;

né che le chiavi che mi fuor concesse,

divenisser signaculo in vessillo

che contra battezzati combattesse;

né ch'io fossi figura di sigillo

a privilegi venduti e mendaci,

ond' io sovente arrosso e disfavillo.

In vesta di pastor lupi rapaci

si veggion di qua sù per tutti i paschi:

o difesa di Dio, perché pur giaci?

Del sangue nostro Caorsini e Guaschi

s'apparecchian di bere: o buon principio,

a che vil fine convien che tu caschi!

Ma l'alta provedenza, che con Scipio

difese a Roma la gloria del mondo,

soccorrà tosto, sì com' io concipio;

e tu, figliuol, che per lo mortal pondo

ancor giù tornerai, apri la bocca,

e non asconder quel ch'io non ascondo».

Sì come di vapor gelati fiocca

in giuso l'aere nostro, quando 'l corno

de la capra del ciel col sol si tocca,

in sù vid' io così l'etera addorno

farsi e fioccar di vapor trïunfanti

che fatto avien con noi quivi soggiorno.

Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,

e seguì fin che 'l mezzo, per lo molto,

li tolse il trapassar del più avanti.

Onde la donna, che mi vide assolto

de l'attendere in sù, mi disse: «Adima

il viso e guarda come tu se' vòlto».

Da l'ora ch'ïo avea guardato prima

i' vidi mosso me per tutto l'arco

che fa dal mezzo al fine il primo clima;

sì ch'io vedea di là da Gade il varco

folle d'Ulisse, e di qua presso il lito

nel qual si fece Europa dolce carco.

E più mi fora discoverto il sito

di questa aiuola; ma 'l sol procedea

sotto i mie' piedi un segno e più partito.

La mente innamorata, che donnea

con la mia donna sempre, di ridure

ad essa li occhi più che mai ardea;

e se natura o arte fé pasture

da pigliare occhi, per aver la mente,

in carne umana o ne le sue pitture,

tutte adunate, parrebber nïente

ver' lo piacer divin che mi refulse,

quando mi volsi al suo viso ridente.

E la virtù che lo sguardo m'indulse,

del bel nido di Leda mi divelse,

e nel ciel velocissimo m'impulse.

Le parti sue vivissime ed eccelse

sì uniforme son, ch'i' non so dire

qual Bëatrice per loco mi scelse.

Ma ella, che vedëa 'l mio disire,

incominciò, ridendo tanto lieta,

che Dio parea nel suo volto gioire:

«La natura del mondo, che quïeta

il mezzo e tutto l'altro intorno move,

quinci comincia come da sua meta;

e questo cielo non ha altro dove

che la mente divina, in che s'accende

l'amor che 'l volge e la virtù ch'ei piove.

Luce e amor d'un cerchio lui comprende,

sì come questo li altri; e quel precinto

colui che 'l cinge solamente intende.

Non è suo moto per altro distinto,

ma li altri son mensurati da questo,

sì come diece da mezzo e da quinto;

e come il tempo tegna in cotal testo

le sue radici e ne li altri le fronde,

omai a te può esser manifesto.

Oh cupidigia, che i mortali affonde

sì sotto te, che nessuno ha podere

di trarre li occhi fuor de le tue onde!

Ben fiorisce ne li uomini il volere;

ma la pioggia continüa converte

in bozzacchioni le sosine vere.

Fede e innocenza son reperte

solo ne' parvoletti; poi ciascuna

pria fugge che le guance sian coperte.

Tale, balbuzïendo ancor, digiuna,

che poi divora, con la lingua sciolta,

qualunque cibo per qualunque luna;

e tal, balbuzïendo, ama e ascolta

la madre sua, che, con loquela intera,

disïa poi di vederla sepolta.

Così si fa la pelle bianca nera

nel primo aspetto de la bella figlia

di quel ch'apporta mane e lascia sera.

Tu, perché non ti facci maraviglia,

pensa che 'n terra non è chi governi;

onde sì svïa l'umana famiglia.

Ma prima che gennaio tutto si sverni

per la centesma ch'è là giù negletta,

raggeran sì questi cerchi superni,

che la fortuna che tanto s'aspetta,

le poppe volgerà u' son le prore,

sì che la classe correrà diretta;

e vero frutto verrà dopo 'l fiore».

jueves, 20 de agosto de 2020

Purgatorio, Canto III

CANTO III

[Canto III, nel quale si tratta de la seconda qualitade, cioè di coloro che per cagione d'alcuna violenza che ricevettero, tardaro di qui a loro fine a pentersi e confessarsi de' loro falli, sì come sono quelli che muoiono in contumacia di Santa Chiesa scomunicati, li quali sono puniti in quel piano. In essempro di cotali peccatori nomina tra costoro il re Manfredi.]

Avvegna che la subitana fuga

dispergesse color per la campagna,

rivolti al monte ove ragion ne fruga,

i' mi ristrinsi a la fida compagna:

e come sare' io sanza lui corso?

chi m'avria tratto su per la montagna?

El mi parea da sé stesso rimorso:

o dignitosa coscïenza e netta,

come t'è picciol fallo amaro morso!

Quando li piedi suoi lasciar la fretta,

che l'onestade ad ogn' atto dismaga,

la mente mia, che prima era ristretta,

lo 'ntento rallargò, sì come vaga,

e diedi 'l viso mio incontr' al poggio

che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.

Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,

rotto m'era dinanzi a la figura,

ch'avëa in me de' suoi raggi l'appoggio.

Io mi volsi dallato con paura

d'essere abbandonato, quand' io vidi

solo dinanzi a me la terra oscura;

e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,

a dir mi cominciò tutto rivolto;

«non credi tu me teco e ch'io ti guidi?

Vespero è già colà dov' è sepolto

lo corpo dentro al quale io facea ombra;

Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.

Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,

non ti maravigliar più che d'i cieli

che l'uno a l'altro raggio non ingombra.

A sofferir tormenti, caldi e geli

simili corpi la Virtù dispone

che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.

Matto è chi spera che nostra ragione

possa trascorrer la infinita via

che tiene una sustanza in tre persone.

State contenti, umana gente, al quia;

ché, se potuto aveste veder tutto,

mestier non era parturir Maria;

e disïar vedeste sanza frutto

tai che sarebbe lor disio quetato,

ch'etternalmente è dato lor per lutto:

io dico d'Aristotile e di Plato

e di molt' altri»; e qui chinò la fronte,

e più non disse, e rimase turbato.

Noi divenimmo intanto a piè del monte;

quivi trovammo la roccia sì erta,

che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.

Tra Lerice e Turbìa la più diserta,

la più rotta ruina è una scala,

verso di quella, agevole e aperta.

«Or chi sa da qual man la costa cala»,

disse 'l maestro mio fermando 'l passo,

«sì che possa salir chi va sanz' ala?».

E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso

essaminava del cammin la mente,

e io mirava suso intorno al sasso,

da man sinistra m'apparì una gente

d'anime, che movieno i piè ver' noi,

e non pareva, sì venïan lente.

«Leva», diss' io, «maestro, li occhi tuoi:

ecco di qua chi ne darà consiglio,

se tu da te medesmo aver nol puoi».

Guardò allora, e con libero piglio

rispuose: «Andiamo in là, ch'ei vegnon piano;

e tu ferma la spene, dolce figlio».

Ancora era quel popol di lontano,

i' dico dopo i nostri mille passi,

quanto un buon gittator trarria con mano,

quando si strinser tutti ai duri massi

de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti

com' a guardar, chi va dubbiando, stassi.

«O ben finiti, o già spiriti eletti»,

Virgilio incominciò, «per quella pace

ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,

ditene dove la montagna giace,

sì che possibil sia l'andare in suso;

ché perder tempo a chi più sa più spiace».

Come le pecorelle escon del chiuso

a una, a due, a tre, e l'altre stanno

timidette atterrando l'occhio e 'l muso;

e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,

addossandosi a lei, s'ella s'arresta,

semplici e quete, e lo 'mperché non sanno;

sì vid' io muovere a venir la testa

di quella mandra fortunata allotta,

pudica in faccia e ne l'andare onesta.

Come color dinanzi vider rotta

la luce in terra dal mio destro canto,

sì che l'ombra era da me a la grotta,

restaro, e trasser sé in dietro alquanto,

e tutti li altri che venieno appresso,

non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto.

«Sanza vostra domanda io vi confesso

che questo è corpo uman che voi vedete;

per che 'l lume del sole in terra è fesso.

Non vi maravigliate, ma credete

che non sanza virtù che da ciel vegna

cerchi di soverchiar questa parete».

Così 'l maestro; e quella gente degna

«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,

coi dossi de le man faccendo insegna.

E un di loro incominciò: «Chiunque

tu se', così andando, volgi 'l viso:

pon mente se di là mi vedesti unque».

Io mi volsi ver' lui e guardail fiso:

biondo era e bello e di gentile aspetto,

ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.

Quand' io mi fui umilmente disdetto

d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;

e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.

Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,

nepote di Costanza imperadrice;

ond' io ti priego che, quando tu riedi,

vadi a mia bella figlia, genitrice

de l'onor di Cicilia e d'Aragona,

e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.

Poscia ch'io ebbi rotta la persona

di due punte mortali, io mi rendei,

piangendo, a quei che volontier perdona.

Orribil furon li peccati miei;

ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

che prende ciò che si rivolge a lei.

Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia

di me fu messo per Clemente allora,

avesse in Dio ben letta questa faccia,

l'ossa del corpo mio sarieno ancora

in co del ponte presso a Benevento,

sotto la guardia de la grave mora.

Or le bagna la pioggia e move il vento

di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,

dov' e' le trasmutò a lume spento.

Per lor maladizion sì non si perde,

che non possa tornar, l'etterno amore,

mentre che la speranza ha fior del verde.

Vero è che quale in contumacia more

di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,

star li convien da questa ripa in fore,

per ognun tempo ch'elli è stato, trenta,

in sua presunzïon, se tal decreto

più corto per buon prieghi non diventa.

Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,

revelando a la mia buona Costanza

come m'hai visto, e anco esto divieto;

ché qui per quei di là molto s'avanza».

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