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miércoles, 26 de agosto de 2020

Paradiso, Canto XII

CANTO XII


[Canto XII, nel quale frate Bonaventura da Bagnoregio in gloria di santo Dominico parla e brevemente la sua vita narra.]

Sì tosto come l'ultima parola

la benedetta fiamma per dir tolse,

a rotar cominciò la santa mola;

e nel suo giro tutta non si volse

prima ch'un'altra di cerchio la chiuse,

e moto a moto e canto a canto colse;

canto che tanto vince nostre muse,

nostre serene in quelle dolci tube,

quanto primo splendor quel ch'e' refuse.

Come si volgon per tenera nube

due archi paralelli e concolori,

quando Iunone a sua ancella iube,

nascendo di quel d'entro quel di fori,

a guisa del parlar di quella vaga

ch'amor consunse come sol vapori,

e fanno qui la gente esser presaga,


per lo patto che Dio con Noè puose,

del mondo che già mai più non s'allaga:

così di quelle sempiterne rose

volgiensi circa noi le due ghirlande,

e sì l'estrema a l'intima rispuose.

Poi che 'l tripudio e l'altra festa grande,

sì del cantare e sì del fiammeggiarsi

luce con luce gaudïose e blande,

insieme a punto e a voler quetarsi,

pur come li occhi ch'al piacer che i move

conviene insieme chiudere e levarsi;

del cor de l'una de le luci nove

si mosse voce, che l'ago a la stella

parer mi fece in volgermi al suo dove;

e cominciò: «L'amor che mi fa bella

mi tragge a ragionar de l'altro duca

per cui del mio sì ben ci si favella.

Degno è che, dov' è l'un, l'altro s'induca:

sì che, com' elli ad una militaro,

così la gloria loro insieme luca.

L'essercito di Cristo, che sì caro

costò a rïarmar, dietro a la 'nsegna

si movea tardo, sospeccioso e raro,

quando lo 'mperador che sempre regna

provide a la milizia, ch'era in forse,

per sola grazia, non per esser degna;

e, come è detto, a sua sposa soccorse

con due campioni, al cui fare, al cui dire

lo popol disvïato si raccorse.

In quella parte ove surge ad aprire

Zefiro dolce le novelle fronde

di che si vede Europa rivestire,

non molto lungi al percuoter de l'onde

dietro a le quali, per la lunga foga,

lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,

siede la fortunata Calaroga

sotto la protezion del grande scudo

in che soggiace il leone e soggioga:

dentro vi nacque l'amoroso drudo

de la fede cristiana, il santo atleta

benigno a' suoi e a' nemici crudo;

e come fu creata, fu repleta

sì la sua mente di viva vertute,

che, ne la madre, lei fece profeta.

Poi che le sponsalizie fuor compiute

al sacro fonte intra lui e la Fede,

u' si dotar di mutüa salute,

la donna che per lui l'assenso diede,

vide nel sonno il mirabile frutto

ch'uscir dovea di lui e de le rede;

e perché fosse qual era in costrutto,

quinci si mosse spirito a nomarlo

del possessivo di cui era tutto.

Domenico fu detto; e io ne parlo

sì come de l'agricola che Cristo

elesse a l'orto suo per aiutarlo.

Ben parve messo e famigliar di Cristo:

ché 'l primo amor che 'n lui fu manifesto,

fu al primo consiglio che diè Cristo.

Spesse fïate fu tacito e desto

trovato in terra da la sua nutrice,

come dicesse: 'Io son venuto a questo'.

Oh padre suo veramente Felice!

oh madre sua veramente Giovanna,

se, interpretata, val come si dice!

Non per lo mondo, per cui mo s'affanna

di retro ad Ostïense e a Taddeo,

ma per amor de la verace manna

in picciol tempo gran dottor si feo;

tal che si mise a circüir la vigna

che tosto imbianca, se 'l vignaio è reo.

E a la sedia che fu già benigna

più a' poveri giusti, non per lei,

ma per colui che siede, che traligna,

non dispensare o due o tre per sei,

non la fortuna di prima vacante,

non decimas, quae sunt pauperum Dei,

addimandò, ma contro al mondo errante

licenza di combatter per lo seme

del qual ti fascian ventiquattro piante.

Poi, con dottrina e con volere insieme,

con l'officio appostolico si mosse

quasi torrente ch'alta vena preme;

e ne li sterpi eretici percosse

l'impeto suo, più vivamente quivi

dove le resistenze eran più grosse.

Di lui si fecer poi diversi rivi

onde l'orto catolico si riga,

sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.

Se tal fu l'una rota de la biga

in che la Santa Chiesa si difese

e vinse in campo la sua civil briga,

ben ti dovrebbe assai esser palese

l'eccellenza de l'altra, di cui Tomma

dinanzi al mio venir fu sì cortese.

Ma l'orbita che fé la parte somma

di sua circunferenza, è derelitta,

sì ch'è la muffa dov' era la gromma.

La sua famiglia, che si mosse dritta

coi piedi a le sue orme, è tanto volta,

che quel dinanzi a quel di retro gitta;

e tosto si vedrà de la ricolta

de la mala coltura, quando il loglio

si lagnerà che l'arca li sia tolta.

Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio

nostro volume, ancor troveria carta

u' leggerebbe "I' mi son quel ch'i' soglio";

ma non fia da Casal né d'Acquasparta,

là onde vegnon tali a la scrittura,

ch'uno la fugge e altro la coarta.

Io son la vita di Bonaventura

da Bagnoregio, che ne' grandi offici

sempre pospuosi la sinistra cura.

Illuminato e Augustin son quici,

che fuor de' primi scalzi poverelli

che nel capestro a Dio si fero amici.

Ugo da San Vittore è qui con elli,

e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,

lo qual giù luce in dodici libelli;

Natàn profeta e 'l metropolitano

Crisostomo e Anselmo e quel Donato

ch'a la prim' arte degnò porre mano.

Rabano è qui, e lucemi dallato

il calavrese abate Giovacchino

di spirito profetico dotato.

Ad inveggiar cotanto paladino

mi mosse l'infiammata cortesia

di fra Tommaso e 'l discreto latino;

e mosse meco questa compagnia».

sábado, 22 de agosto de 2020

Purgatorio, Canto XX

CANTO XX

[Canto XX, ove si tratta del sopradetto girone e de la sopradetta colpa de l'avarizia.]

Contra miglior voler voler mal pugna;

onde contra 'l piacer mio, per piacerli,

trassi de l'acqua non sazia la spugna.

Mossimi; e 'l duca mio si mosse per li

luoghi spediti pur lungo la roccia,

come si va per muro stretto a' merli;

ché la gente che fonde a goccia a goccia

per li occhi il mal che tutto 'l mondo occupa,

da l'altra parte in fuor troppo s'approccia.

Maladetta sie tu, antica lupa,

che più che tutte l'altre bestie hai preda

per la tua fame sanza fine cupa!

O ciel, nel cui girar par che si creda

le condizion di qua giù trasmutarsi,

quando verrà per cui questa disceda?

Noi andavam con passi lenti e scarsi,

e io attento a l'ombre, ch'i' sentia

pietosamente piangere e lagnarsi;

e per ventura udi' «Dolce Maria!»

dinanzi a noi chiamar così nel pianto

come fa donna che in parturir sia;

e seguitar: «Povera fosti tanto,

quanto veder si può per quello ospizio

dove sponesti il tuo portato santo».

Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio,

con povertà volesti anzi virtute

che gran ricchezza posseder con vizio».

Queste parole m'eran sì piaciute,

ch'io mi trassi oltre per aver contezza

di quello spirto onde parean venute.

Esso parlava ancor de la larghezza

che fece Niccolò a le pulcelle,

per condurre ad onor lor giovinezza.

«O anima che tanto ben favelle,

dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola

tu queste degne lode rinovelle.

Non fia sanza mercé la tua parola,

s'io ritorno a compiér lo cammin corto

di quella vita ch'al termine vola».

Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto

ch'io attenda di là, ma perché tanta

grazia in te luce prima che sie morto.

Io fui radice de la mala pianta

che la terra cristiana tutta aduggia,

sì che buon frutto rado se ne schianta.

Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia

potesser, tosto ne saria vendetta;

e io la cheggio a lui che tutto giuggia.

Chiamato fui di là Ugo Ciappetta;

di me son nati i Filippi e i Luigi

per cui novellamente è Francia retta.

Figliuol fu' io d'un beccaio di Parigi:

quando li regi antichi venner meno

tutti, fuor ch'un renduto in panni bigi,

trova'mi stretto ne le mani il freno

del governo del regno, e tanta possa

di nuovo acquisto, e sì d'amici pieno,

ch'a la corona vedova promossa

la testa di mio figlio fu, dal quale

cominciar di costor le sacrate ossa.

Mentre che la gran dota provenzale

al sangue mio non tolse la vergogna,

poco valea, ma pur non facea male.

Lì cominciò con forza e con menzogna

la sua rapina; e poscia, per ammenda,

Pontì e Normandia prese e Guascogna.

Carlo venne in Italia e, per ammenda,

vittima fé di Curradino; e poi

ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.

Tempo vegg' io, non molto dopo ancoi,

che tragge un altro Carlo fuor di Francia,

per far conoscer meglio e sé e ' suoi.

Sanz' arme n'esce e solo con la lancia

con la qual giostrò Giuda, e quella ponta sì,

ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia.

Quindi non terra, ma peccato e onta

guadagnerà, per sé tanto più grave,

quanto più lieve simil danno conta.

L'altro, che già uscì preso di nave,

veggio vender sua figlia e patteggiarne

come fanno i corsar de l'altre schiave.

O avarizia, che puoi tu più farne,

poscia c'ha' il mio sangue a te sì tratto,

che non si cura de la propria carne?

Perché men paia il mal futuro e 'l fatto,

veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,

e nel vicario suo Cristo esser catto.

Veggiolo un'altra volta esser deriso;

veggio rinovellar l'aceto e 'l fiele,

e tra vivi ladroni esser anciso.

Veggio il novo Pilato sì crudele,

che ciò nol sazia, ma sanza decreto

portar nel Tempio le cupide vele.

O Segnor mio, quando sarò io lieto

a veder la vendetta che, nascosa,

fa dolce l'ira tua nel tuo secreto?

Ciò ch'io dicea di quell' unica sposa

de lo Spirito Santo e che ti fece

verso me volger per alcuna chiosa,

tanto è risposto a tutte nostre prece

quanto 'l dì dura; ma com' el s'annotta,

contrario suon prendemo in quella vece.

Noi repetiam Pigmalïon allotta,

cui traditore e ladro e paricida

fece la voglia sua de l'oro ghiotta;

e la miseria de l'avaro Mida,

che seguì a la sua dimanda gorda,

per la qual sempre convien che si rida.

Del folle Acàn ciascun poi si ricorda,

come furò le spoglie, sì che l'ira

di Iosüè qui par ch'ancor lo morda.

Indi accusiam col marito Saffira;

lodiam i calci ch'ebbe Elïodoro;

e in infamia tutto 'l monte gira

Polinestòr ch'ancise Polidoro;

ultimamente ci si grida: "Crasso,

dilci, che 'l sai: di che sapore è l'oro?".

Talor parla l'uno alto e l'altro basso,

secondo l'affezion ch'ad ir ci sprona

ora a maggiore e ora a minor passo:

però al ben che 'l dì ci si ragiona,

dianzi non era io sol; ma qui da presso

non alzava la voce altra persona».

Noi eravam partiti già da esso,

e brigavam di soverchiar la strada

tanto quanto al poder n'era permesso,

quand' io senti', come cosa che cada,

tremar lo monte; onde mi prese un gelo

qual prender suol colui ch'a morte vada.

Certo non si scoteo sì forte Delo,

pria che Latona in lei facesse 'l nido

a parturir li due occhi del cielo.

Poi cominciò da tutte parti un grido tal,

che 'l maestro inverso me si feo, dicendo:

«Non dubbiar, mentr' io ti guido».

'Glorïa in excelsis' tutti 'Deo'

dicean, per quel ch'io da' vicin compresi, onde intender lo grido si poteo.

No' istavamo immobili e sospesi

come i pastor che prima udir quel canto,

fin che 'l tremar cessò ed el compiési.

Poi ripigliammo nostro cammin santo,

guardando l'ombre che giacean per terra,

tornate già in su l'usato pianto.

Nulla ignoranza mai con tanta guerra

mi fé desideroso di sapere,

se la memoria mia in ciò non erra,

quanta pareami allor, pensando, avere;

né per la fretta dimandare er' oso,

né per me lì potea cosa vedere:

così m'andava timido e pensoso.

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