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lunes, 24 de agosto de 2020

Purgatorio, Canto XXVIII

CANTO XXVIII

[Canto XXVIII, ove si tratta come la vita attiva distingue a l'auttore la natura del fiume di Letè, il quale trovò nel detto Paradiso, ove molto dimostra de la felicitade e del peccato di Adamo, e del modo e ordine del detto luogo.]

Vago già di cercar dentro e dintorno

la divina foresta spessa e viva,

ch'a li occhi temperava il novo giorno,

sanza più aspettar, lasciai la riva,

prendendo la campagna lento lento

su per lo suol che d'ogne parte auliva.

Un'aura dolce, sanza mutamento

avere in sé, mi feria per la fronte

non di più colpo che soave vento;

per cui le fronde, tremolando, pronte

tutte quante piegavano a la parte

u' la prim' ombra gitta il santo monte;

non però dal loro esser dritto sparte

tanto, che li augelletti per le cime

lasciasser d'operare ogne lor arte;

ma con piena letizia l'ore prime,

cantando, ricevieno intra le foglie,

che tenevan bordone a le sue rime,

tal qual di ramo in ramo si raccoglie

per la pineta in su 'l lito di Chiassi,

quand' Ëolo scilocco fuor discioglie.

Già m'avean trasportato i lenti passi

dentro a la selva antica tanto, ch'io

non potea rivedere ond' io mi 'ntrassi;

ed ecco più andar mi tolse un rio,

che 'nver' sinistra con sue picciole onde

piegava l'erba che 'n sua ripa uscìo.

Tutte l'acque che son di qua più monde,

parrieno avere in sé mistura alcuna

verso di quella, che nulla nasconde,

avvegna che si mova bruna bruna

sotto l'ombra perpetüa, che mai

raggiar non lascia sole ivi né luna.

Coi piè ristetti e con li occhi passai

di là dal fiumicello, per mirare

la gran varïazion d'i freschi mai;

e là m'apparve, sì com' elli appare

subitamente cosa che disvia

per maraviglia tutto altro pensare,

una donna soletta che si gia

e cantando e scegliendo fior da fiore

ond' era pinta tutta la sua via.

«Deh, bella donna, che a' raggi d'amore

ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti

che soglion esser testimon del core,

vegnati in voglia di trarreti avanti»,

diss' io a lei, «verso questa rivera,

tanto ch'io possa intender che tu canti.

Tu mi fai rimembrar dove e qual era

Proserpina nel tempo che perdette

la madre lei, ed ella primavera».

Come si volge, con le piante strette

a terra e intra sé, donna che balli,

e piede innanzi piede a pena mette,

volsesi in su i vermigli e in su i gialli

fioretti verso me, non altrimenti

che vergine che li occhi onesti avvalli;

e fece i prieghi miei esser contenti,

sì appressando sé, che 'l dolce suono

veniva a me co' suoi intendimenti.

Tosto che fu là dove l'erbe sono

bagnate già da l'onde del bel fiume,

di levar li occhi suoi mi fece dono.

Non credo che splendesse tanto lume

sotto le ciglia a Venere, trafitta

dal figlio fuor di tutto suo costume.

Ella ridea da l'altra riva dritta,

trattando più color con le sue mani,

che l'alta terra sanza seme gitta.

Tre passi ci facea il fiume lontani;

ma Elesponto, là 've passò Serse,

ancora freno a tutti orgogli umani,

più odio da Leandro non sofferse

per mareggiare intra Sesto e Abido,

che quel da me perch' allor non s'aperse.

«Voi siete nuovi, e forse perch' io rido»,

cominciò ella, «in questo luogo eletto

a l'umana natura per suo nido,

maravigliando tienvi alcun sospetto;

ma luce rende il salmo Delectasti,

che puote disnebbiar vostro intelletto.

E tu che se' dinanzi e mi pregasti,

dì s'altro vuoli udir; ch'i' venni presta

ad ogne tua question tanto che basti».

«L'acqua», diss' io, «e 'l suon de la foresta

impugnan dentro a me novella fede

di cosa ch'io udi' contraria a questa».

Ond' ella: «Io dicerò come procede

per sua cagion ciò ch'ammirar ti face,

e purgherò la nebbia che ti fiede.

Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,

fé l'uom buono e a bene, e questo loco

diede per arr' a lui d'etterna pace.

Per sua difalta qui dimorò poco;

per sua difalta in pianto e in affanno

cambiò onesto riso e dolce gioco.

Perché 'l turbar che sotto da sé fanno

l'essalazion de l'acqua e de la terra,

che quanto posson dietro al calor vanno,

a l'uomo non facesse alcuna guerra,

questo monte salìo verso 'l ciel tanto,

e libero n'è d'indi ove si serra.

Or perché in circuito tutto quanto

l'aere si volge con la prima volta,

se non li è rotto il cerchio d'alcun canto,

in questa altezza ch'è tutta disciolta

ne l'aere vivo, tal moto percuote,

e fa sonar la selva perch' è folta;

e la percossa pianta tanto puote,

che de la sua virtute l'aura impregna

e quella poi, girando, intorno scuote;

e l'altra terra, secondo ch'è degna

per sé e per suo ciel, concepe e figlia

di diverse virtù diverse legna.

Non parrebbe di là poi maraviglia,

udito questo, quando alcuna pianta

sanza seme palese vi s'appiglia.

E saper dei che la campagna santa

dove tu se', d'ogne semenza è piena,

e frutto ha in sé che di là non si schianta.

L'acqua che vedi non surge di vena

che ristori vapor che gel converta,

come fiume ch'acquista e perde lena;

ma esce di fontana salda e certa,

che tanto dal voler di Dio riprende,

quant' ella versa da due parti aperta.

Da questa parte con virtù discende

che toglie altrui memoria del peccato;

da l'altra d'ogne ben fatto la rende.

Quinci Letè; così da l'altro lato

Eünoè si chiama, e non adopra

se quinci e quindi pria non è gustato:

a tutti altri sapori esto è di sopra.

E avvegna ch'assai possa esser sazia

la sete tua perch' io più non ti scuopra,

darotti un corollario ancor per grazia;

né credo che 'l mio dir ti sia men caro,

se oltre promession teco si spazia.

Quelli ch'anticamente poetaro

l'età de l'oro e suo stato felice,

forse in Parnaso esto loco sognaro.

Qui fu innocente l'umana radice;

qui primavera sempre e ogne frutto;

nettare è questo di che ciascun dice».

Io mi rivolsi 'n dietro allora tutto

a' miei poeti, e vidi che con riso

udito avëan l'ultimo costrutto;

poi a la bella donna torna' il viso.

viernes, 21 de agosto de 2020

Purgatorio, Canto IX

CANTO IX

[Canto IX, nel quale pone l'auttore uno suo significativo sogno; e poi come pervennero a l'entrata del purgatorio proprio, descrivendo come ne l'entrata di purgatorio trovoe uno angelo che con la punta de la spada che portava in mano scrisse ne la fronte di Dante sette P.]

La concubina di Titone antico

già s'imbiancava al balco d'orïente,

fuor de le braccia del suo dolce amico;

di gemme la sua fronte era lucente,

poste in figura del freddo animale

che con la coda percuote la gente;

e la notte, de' passi con che sale,

fatti avea due nel loco ov' eravamo,

e 'l terzo già chinava in giuso l'ale;

quand' io, che meco avea di quel d'Adamo,

vinto dal sonno, in su l'erba inchinai

là 've già tutti e cinque sedavamo.

Ne l'ora che comincia i tristi lai

la rondinella presso a la mattina,

forse a memoria de' suo' primi guai,

e che la mente nostra, peregrina

più da la carne e men da' pensier presa,

a le sue visïon quasi è divina,

in sogno mi parea veder sospesa

un'aguglia nel ciel con penne d'oro,

con l'ali aperte e a calare intesa;

ed esser mi parea là dove fuoro

abbandonati i suoi da Ganimede,

quando fu ratto al sommo consistoro.

Fra me pensava: 'Forse questa fiede

pur qui per uso, e forse d'altro loco

disdegna di portarne suso in piede'.

Poi mi parea che, poi rotata un poco,

terribil come folgor discendesse,

e me rapisse suso infino al foco.

Ivi parea che ella e io ardesse;

e sì lo 'ncendio imaginato cosse,

che convenne che 'l sonno si rompesse.

Non altrimenti Achille si riscosse,

li occhi svegliati rivolgendo in giro

e non sappiendo là dove si fosse,

quando la madre da Chirón a Schiro

trafuggò lui dormendo in le sue braccia,

là onde poi li Greci il dipartiro;

che mi scoss' io, sì come da la faccia

mi fuggì 'l sonno, e diventa' ismorto,

come fa l'uom che, spaventato, agghiaccia.

Dallato m'era solo il mio conforto,

e 'l sole er' alto già più che due ore,

e 'l viso m'era a la marina torto.

«Non aver tema», disse il mio segnore;

«fatti sicur, ché noi semo a buon punto;

non stringer, ma rallarga ogne vigore.

Tu se' omai al purgatorio giunto:

vedi là il balzo che 'l chiude dintorno;

vedi l'entrata là 've par digiunto.

Dianzi, ne l'alba che procede al giorno,

quando l'anima tua dentro dormia,

sovra li fiori ond' è là giù addorno

venne una donna, e disse: "I' son Lucia;

lasciatemi pigliar costui che dorme;

sì l'agevolerò per la sua via".

Sordel rimase e l'altre genti forme;

ella ti tolse, e come 'l dì fu chiaro,

sen venne suso; e io per le sue orme.

Qui ti posò, ma pria mi dimostraro

li occhi suoi belli quella intrata aperta;

poi ella e 'l sonno ad una se n'andaro».

A guisa d'uom che 'n dubbio si raccerta

e che muta in conforto sua paura,

poi che la verità li è discoperta,

mi cambia' io; e come sanza cura

vide me 'l duca mio, su per lo balzo

si mosse, e io di rietro inver' l'altura.

Lettor, tu vedi ben com' io innalzo

la mia matera, e però con più arte

non ti maravigliar s'io la rincalzo.

Noi ci appressammo, ed eravamo in parte

che là dove pareami prima rotto,

pur come un fesso che muro diparte,

vidi una porta, e tre gradi di sotto

per gire ad essa, di color diversi,

e un portier ch'ancor non facea motto.

E come l'occhio più e più v'apersi,

vidil seder sovra 'l grado sovrano,

tal ne la faccia ch'io non lo soffersi;

e una spada nuda avëa in mano,

che reflettëa i raggi sì ver' noi,

ch'io dirizzava spesso il viso in vano.

«Dite costinci: che volete voi?»,

cominciò elli a dire, «ov' è la scorta?

Guardate che 'l venir sù non vi nòi».

«Donna del ciel, di queste cose accorta»,

rispuose 'l mio maestro a lui, «pur dianzi

ne disse: "Andate là: quivi è la porta"».

«Ed ella i passi vostri in bene avanzi»,

ricominciò il cortese portinaio:

«Venite dunque a' nostri gradi innanzi».

Là ne venimmo; e lo scaglion primaio

bianco marmo era sì pulito e terso,

ch'io mi specchiai in esso qual io paio.

Era il secondo tinto più che perso,

d'una petrina ruvida e arsiccia,

crepata per lo lungo e per traverso.

Lo terzo, che di sopra s'ammassiccia,

porfido mi parea, sì fiammeggiante

come sangue che fuor di vena spiccia.

Sovra questo tenëa ambo le piante

l'angel di Dio sedendo in su la soglia

che mi sembiava pietra di diamante.

Per li tre gradi sù di buona voglia

mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi

umilemente che 'l serrame scioglia».

Divoto mi gittai a' santi piedi;

misericordia chiesi e ch'el m'aprisse,

ma tre volte nel petto pria mi diedi.

Sette P ne la fronte mi descrisse

col punton de la spada, e «Fa che lavi,

quando se' dentro, queste piaghe» disse.

Cenere, o terra che secca si cavi,

d'un color fora col suo vestimento;

e di sotto da quel trasse due chiavi.

L'una era d'oro e l'altra era d'argento;

pria con la bianca e poscia con la gialla

fece a la porta sì, ch'i' fu' contento.

«Quandunque l'una d'este chiavi falla,

che non si volga dritta per la toppa»,

diss' elli a noi, «non s'apre questa calla.

Più cara è l'una; ma l'altra vuol troppa

d'arte e d'ingegno avanti che diserri,

perch' ella è quella che 'l nodo digroppa.

Da Pier le tegno; e dissemi ch'i' erri

anzi ad aprir ch'a tenerla serrata,

pur che la gente a' piedi mi s'atterri».

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,

dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti

che di fuor torna chi 'n dietro si guata».

E quando fuor ne' cardini distorti

li spigoli di quella regge sacra,

che di metallo son sonanti e forti,

non rugghiò sì né si mostrò sì acra

Tarpëa, come tolto le fu il buono

Metello, per che poi rimase macra.

Io mi rivolsi attento al primo tuono,

e 'Te Deum laudamus' mi parea

udire in voce mista al dolce suono.

Tale imagine a punto mi rendea

ciò ch'io udiva, qual prender si suole

quando a cantar con organi si stea;

ch'or sì or no s'intendon le parole.

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