Mostrando entradas con la etiqueta Paradiso. Mostrar todas las entradas
Mostrando entradas con la etiqueta Paradiso. Mostrar todas las entradas

martes, 25 de agosto de 2020

Paradiso, Canto I

PARADISO

CANTO I

[Comincia la terza cantica de la Commedia di Dante Alaghiere di Fiorenza, ne la quale si tratta de' beati e de la celestiale gloria e de' meriti e premi de' santi, e dividesi in nove parti. Canto primo, nel cui principio l'auttore proemizza a la seguente cantica; e sono ne lo elemento del fuoco e Beatrice solve a l'auttore una questione; nel quale canto l'auttore promette di trattare de le cose divine invocando la scienza poetica, cioè Appollo chiamato il deo de la Sapienza.]

La gloria di colui che tutto move

per l'universo penetra, e risplende

in una parte più e meno altrove.

Nel ciel che più de la sua luce prende

fu' io, e vidi cose che ridire

né sa né può chi di là sù discende;

perché appressando sé al suo disire,

nostro intelletto si profonda tanto,

che dietro la memoria non può ire.

Veramente quant' io del regno santo

ne la mia mente potei far tesoro,

sarà ora materia del mio canto.

O buono Appollo, a l'ultimo lavoro

fammi del tuo valor sì fatto vaso,

come dimandi a dar l'amato alloro.

Infino a qui l'un giogo di Parnaso

assai mi fu; ma or con amendue

m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso.

Entra nel petto mio, e spira tue

sì come quando Marsïa traesti

de la vagina de le membra sue.

O divina virtù, se mi ti presti

tanto che l'ombra del beato regno

segnata nel mio capo io manifesti,

vedra'mi al piè del tuo diletto legno

venire, e coronarmi de le foglie

che la materia e tu mi farai degno.

Sì rade volte, padre, se ne coglie

per trïunfare o cesare o poeta,

colpa e vergogna de l'umane voglie,

che parturir letizia in su la lieta

delfica deïtà dovria la fronda

peneia, quando alcun di sé asseta.

Poca favilla gran fiamma seconda:

forse di retro a me con miglior voci

si pregherà perché Cirra risponda.

Surge ai mortali per diverse foci

la lucerna del mondo; ma da quella

che quattro cerchi giugne con tre croci,

con miglior corso e con migliore stella

esce congiunta, e la mondana cera

più a suo modo tempera e suggella.

Fatto avea di là mane e di qua sera

tal foce, e quasi tutto era là bianco

quello emisperio, e l'altra parte nera,

quando Beatrice in sul sinistro fianco

vidi rivolta e riguardar nel sole:

aguglia sì non li s'affisse unquanco.

E sì come secondo raggio suole

uscir del primo e risalire in suso,

pur come pelegrin che tornar vuole,

così de l'atto suo, per li occhi infuso

ne l'imagine mia, il mio si fece,

e fissi li occhi al sole oltre nostr' uso.

Molto è licito là, che qui non lece

a le nostre virtù, mercé del loco

fatto per proprio de l'umana spece.

Io nol soffersi molto, né sì poco,

ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,

com' ferro che bogliente esce del foco;

e di sùbito parve giorno a giorno

essere aggiunto, come quei che puote

avesse il ciel d'un altro sole addorno.

Beatrice tutta ne l'etterne rote

fissa con li occhi stava; e io in lei

le luci fissi, di là sù rimote.

Nel suo aspetto tal dentro mi fei,

qual si fé Glauco nel gustar de l'erba

che 'l fé consorto in mar de li altri dèi.

Trasumanar significar per verba

non si poria; però l'essemplo basti

a cui esperïenza grazia serba.

S'i' era sol di me quel che creasti

novellamente, amor che 'l ciel governi,

tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti.

Quando la rota che tu sempiterni

desiderato, a sé mi fece atteso

con l'armonia che temperi e discerni,

parvemi tanto allor del cielo acceso

de la fiamma del sol, che pioggia o fiume

lago non fece alcun tanto disteso.

La novità del suono e 'l grande lume

di lor cagion m'accesero un disio

mai non sentito di cotanto acume.

Ond' ella, che vedea me sì com' io,

a quïetarmi l'animo commosso,

pria ch'io a dimandar, la bocca aprio

e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso

col falso imaginar, sì che non vedi

ciò che vedresti se l'avessi scosso.

Tu non se' in terra, sì come tu credi;

ma folgore, fuggendo il proprio sito,

non corse come tu ch'ad esso riedi».

S'io fui del primo dubbio disvestito

per le sorrise parolette brevi,

dentro ad un nuovo più fu' inretito

e dissi: «Già contento requïevi

di grande ammirazion; ma ora ammiro

com' io trascenda questi corpi levi».

Ond' ella, appresso d'un pïo sospiro,

li occhi drizzò ver' me con quel sembiante

che madre fa sovra figlio deliro,

e cominciò: «Le cose tutte quante

hanno ordine tra loro, e questo è forma

che l'universo a Dio fa simigliante.

Qui veggion l'alte creature l'orma

de l'etterno valore, il qual è fine

al quale è fatta la toccata norma.

Ne l'ordine ch'io dico sono accline

tutte nature, per diverse sorti,

più al principio loro e men vicine;

onde si muovono a diversi porti

per lo gran mar de l'essere, e ciascuna

con istinto a lei dato che la porti.

Questi ne porta il foco inver' la luna;

questi ne' cor mortali è permotore;

questi la terra in sé stringe e aduna;

né pur le creature che son fore

d'intelligenza quest' arco saetta,

ma quelle c'hanno intelletto e amore.

La provedenza, che cotanto assetta,

del suo lume fa 'l ciel sempre quïeto

nel qual si volge quel c'ha maggior fretta;

e ora lì, come a sito decreto,

cen porta la virtù di quella corda

che ciò che scocca drizza in segno lieto.

Vero è che, come forma non s'accorda

molte fïate a l'intenzion de l'arte,

perch' a risponder la materia è sorda,

così da questo corso si diparte

talor la creatura, c'ha podere

di piegar, così pinta, in altra parte;

e sì come veder si può cadere

foco di nube, sì l'impeto primo

l'atterra torto da falso piacere.

Non dei più ammirar, se bene stimo,

lo tuo salir, se non come d'un rivo

se d'alto monte scende giuso ad imo.

Maraviglia sarebbe in te se, privo

d'impedimento, giù ti fossi assiso,

com' a terra quïete in foco vivo».

Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.

lunes, 24 de agosto de 2020

Purgatorio, Canto XXVIII

CANTO XXVIII

[Canto XXVIII, ove si tratta come la vita attiva distingue a l'auttore la natura del fiume di Letè, il quale trovò nel detto Paradiso, ove molto dimostra de la felicitade e del peccato di Adamo, e del modo e ordine del detto luogo.]

Vago già di cercar dentro e dintorno

la divina foresta spessa e viva,

ch'a li occhi temperava il novo giorno,

sanza più aspettar, lasciai la riva,

prendendo la campagna lento lento

su per lo suol che d'ogne parte auliva.

Un'aura dolce, sanza mutamento

avere in sé, mi feria per la fronte

non di più colpo che soave vento;

per cui le fronde, tremolando, pronte

tutte quante piegavano a la parte

u' la prim' ombra gitta il santo monte;

non però dal loro esser dritto sparte

tanto, che li augelletti per le cime

lasciasser d'operare ogne lor arte;

ma con piena letizia l'ore prime,

cantando, ricevieno intra le foglie,

che tenevan bordone a le sue rime,

tal qual di ramo in ramo si raccoglie

per la pineta in su 'l lito di Chiassi,

quand' Ëolo scilocco fuor discioglie.

Già m'avean trasportato i lenti passi

dentro a la selva antica tanto, ch'io

non potea rivedere ond' io mi 'ntrassi;

ed ecco più andar mi tolse un rio,

che 'nver' sinistra con sue picciole onde

piegava l'erba che 'n sua ripa uscìo.

Tutte l'acque che son di qua più monde,

parrieno avere in sé mistura alcuna

verso di quella, che nulla nasconde,

avvegna che si mova bruna bruna

sotto l'ombra perpetüa, che mai

raggiar non lascia sole ivi né luna.

Coi piè ristetti e con li occhi passai

di là dal fiumicello, per mirare

la gran varïazion d'i freschi mai;

e là m'apparve, sì com' elli appare

subitamente cosa che disvia

per maraviglia tutto altro pensare,

una donna soletta che si gia

e cantando e scegliendo fior da fiore

ond' era pinta tutta la sua via.

«Deh, bella donna, che a' raggi d'amore

ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti

che soglion esser testimon del core,

vegnati in voglia di trarreti avanti»,

diss' io a lei, «verso questa rivera,

tanto ch'io possa intender che tu canti.

Tu mi fai rimembrar dove e qual era

Proserpina nel tempo che perdette

la madre lei, ed ella primavera».

Come si volge, con le piante strette

a terra e intra sé, donna che balli,

e piede innanzi piede a pena mette,

volsesi in su i vermigli e in su i gialli

fioretti verso me, non altrimenti

che vergine che li occhi onesti avvalli;

e fece i prieghi miei esser contenti,

sì appressando sé, che 'l dolce suono

veniva a me co' suoi intendimenti.

Tosto che fu là dove l'erbe sono

bagnate già da l'onde del bel fiume,

di levar li occhi suoi mi fece dono.

Non credo che splendesse tanto lume

sotto le ciglia a Venere, trafitta

dal figlio fuor di tutto suo costume.

Ella ridea da l'altra riva dritta,

trattando più color con le sue mani,

che l'alta terra sanza seme gitta.

Tre passi ci facea il fiume lontani;

ma Elesponto, là 've passò Serse,

ancora freno a tutti orgogli umani,

più odio da Leandro non sofferse

per mareggiare intra Sesto e Abido,

che quel da me perch' allor non s'aperse.

«Voi siete nuovi, e forse perch' io rido»,

cominciò ella, «in questo luogo eletto

a l'umana natura per suo nido,

maravigliando tienvi alcun sospetto;

ma luce rende il salmo Delectasti,

che puote disnebbiar vostro intelletto.

E tu che se' dinanzi e mi pregasti,

dì s'altro vuoli udir; ch'i' venni presta

ad ogne tua question tanto che basti».

«L'acqua», diss' io, «e 'l suon de la foresta

impugnan dentro a me novella fede

di cosa ch'io udi' contraria a questa».

Ond' ella: «Io dicerò come procede

per sua cagion ciò ch'ammirar ti face,

e purgherò la nebbia che ti fiede.

Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,

fé l'uom buono e a bene, e questo loco

diede per arr' a lui d'etterna pace.

Per sua difalta qui dimorò poco;

per sua difalta in pianto e in affanno

cambiò onesto riso e dolce gioco.

Perché 'l turbar che sotto da sé fanno

l'essalazion de l'acqua e de la terra,

che quanto posson dietro al calor vanno,

a l'uomo non facesse alcuna guerra,

questo monte salìo verso 'l ciel tanto,

e libero n'è d'indi ove si serra.

Or perché in circuito tutto quanto

l'aere si volge con la prima volta,

se non li è rotto il cerchio d'alcun canto,

in questa altezza ch'è tutta disciolta

ne l'aere vivo, tal moto percuote,

e fa sonar la selva perch' è folta;

e la percossa pianta tanto puote,

che de la sua virtute l'aura impregna

e quella poi, girando, intorno scuote;

e l'altra terra, secondo ch'è degna

per sé e per suo ciel, concepe e figlia

di diverse virtù diverse legna.

Non parrebbe di là poi maraviglia,

udito questo, quando alcuna pianta

sanza seme palese vi s'appiglia.

E saper dei che la campagna santa

dove tu se', d'ogne semenza è piena,

e frutto ha in sé che di là non si schianta.

L'acqua che vedi non surge di vena

che ristori vapor che gel converta,

come fiume ch'acquista e perde lena;

ma esce di fontana salda e certa,

che tanto dal voler di Dio riprende,

quant' ella versa da due parti aperta.

Da questa parte con virtù discende

che toglie altrui memoria del peccato;

da l'altra d'ogne ben fatto la rende.

Quinci Letè; così da l'altro lato

Eünoè si chiama, e non adopra

se quinci e quindi pria non è gustato:

a tutti altri sapori esto è di sopra.

E avvegna ch'assai possa esser sazia

la sete tua perch' io più non ti scuopra,

darotti un corollario ancor per grazia;

né credo che 'l mio dir ti sia men caro,

se oltre promession teco si spazia.

Quelli ch'anticamente poetaro

l'età de l'oro e suo stato felice,

forse in Parnaso esto loco sognaro.

Qui fu innocente l'umana radice;

qui primavera sempre e ogne frutto;

nettare è questo di che ciascun dice».

Io mi rivolsi 'n dietro allora tutto

a' miei poeti, e vidi che con riso

udito avëan l'ultimo costrutto;

poi a la bella donna torna' il viso.

Portfolio

       Ramón Guimerá Lorente Beceite blog, Beseit Beseit en chapurriau yo parlo lo chapurriau  y lo escric Chapurriau al Wordpress Lo Decame...