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miércoles, 26 de agosto de 2020

Paradiso, Canto XIII

CANTO XIII

[Canto XIII, nel quale san Tommaso d'Aquino, de l'ordine d'i frati predicatori solve una questione toccata di sopra da Salamone.]

Imagini, chi bene intender cupe

quel ch'i' or vidi — e ritegna l'image,

mentre ch'io dico, come ferma rupe —,

quindici stelle che 'n diverse plage

lo ciel avvivan di tanto sereno

che soperchia de l'aere ogne compage;

imagini quel carro a cu' il seno

basta del nostro cielo e notte e giorno,

sì ch'al volger del temo non vien meno;

imagini la bocca di quel corno

che si comincia in punta de lo stelo

a cui la prima rota va dintorno,

aver fatto di sé due segni in cielo,

qual fece la figliuola di Minoi

allora che sentì di morte il gelo;

e l'un ne l'altro aver li raggi suoi,

e amendue girarsi per maniera

che l'uno andasse al primo e l'altro al poi;

e avrà quasi l'ombra de la vera

costellazione e de la doppia danza

che circulava il punto dov' io era:

poi ch'è tanto di là da nostra usanza,

quanto di là dal mover de la Chiana

si move il ciel che tutti li altri avanza.

Lì si cantò non Bacco, non Peana,

ma tre persone in divina natura,

e in una persona essa e l'umana.

Compié 'l cantare e 'l volger sua misura;

e attesersi a noi quei santi lumi,

felicitando sé di cura in cura.

Ruppe il silenzio ne' concordi numi

poscia la luce in che mirabil vita

del poverel di Dio narrata fumi,

e disse: «Quando l'una paglia è trita,

quando la sua semenza è già riposta,

a batter l'altra dolce amor m'invita.

Tu credi che nel petto onde la costa

si trasse per formar la bella guancia

il cui palato a tutto 'l mondo costa,

e in quel che, forato da la lancia,

e prima e poscia tanto sodisfece,

che d'ogne colpa vince la bilancia,

quantunque a la natura umana lece

aver di lume, tutto fosse infuso

da quel valor che l'uno e l'altro fece;

e però miri a ciò ch'io dissi suso,

quando narrai che non ebbe 'l secondo

lo ben che ne la quinta luce è chiuso.

Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo,

e vedräi il tuo credere e 'l mio dire

nel vero farsi come centro in tondo.

Ciò che non more e ciò che può morire

non è se non splendor di quella idea

che partorisce, amando, il nostro Sire;

ché quella viva luce che sì mea

dal suo lucente, che non si disuna

da lui né da l'amor ch'a lor s'intrea,

per sua bontate il suo raggiare aduna,

quasi specchiato, in nove sussistenze,

etternalmente rimanendosi una.

Quindi discende a l'ultime potenze

giù d'atto in atto, tanto divenendo,

che più non fa che brevi contingenze;

e queste contingenze essere intendo

le cose generate, che produce

con seme e sanza seme il ciel movendo.

La cera di costoro e chi la duce

non sta d'un modo; e però sotto 'l segno

idëale poi più e men traluce.

Ond' elli avvien ch'un medesimo legno,

secondo specie, meglio e peggio frutta;

e voi nascete con diverso ingegno.

Se fosse a punto la cera dedutta

e fosse il cielo in sua virtù supprema,

la luce del suggel parrebbe tutta;

ma la natura la dà sempre scema,

similemente operando a l'artista

ch'a l'abito de l'arte ha man che trema.

Però se 'l caldo amor la chiara vista

de la prima virtù dispone e segna,

tutta la perfezion quivi s'acquista.

Così fu fatta già la terra degna

di tutta l'animal perfezïone;

così fu fatta la Vergine pregna;

sì ch'io commendo tua oppinïone,

che l'umana natura mai non fue

né fia qual fu in quelle due persone.

Or s'i' non procedesse avanti piùe,

'Dunque, come costui fu sanza pare?'

comincerebber le parole tue.

Ma perché paia ben ciò che non pare,

pensa chi era, e la cagion che 'l mosse,

quando fu detto "Chiedi", a dimandare.

Non ho parlato sì, che tu non posse

ben veder ch'el fu re, che chiese senno

acciò che re sufficïente fosse;

non per sapere il numero in che enno

li motor di qua sù, o se necesse

con contingente mai necesse fenno;

non si est dare primum motum esse,

o se del mezzo cerchio far si puote

trïangol sì ch'un retto non avesse.

Onde, se ciò ch'io dissi e questo note,

regal prudenza è quel vedere impari

in che lo stral di mia intenzion percuote;

e se al "surse" drizzi li occhi chiari,

vedrai aver solamente respetto

ai regi, che son molti, e ' buon son rari.

Con questa distinzion prendi 'l mio detto;

e così puote star con quel che credi

del primo padre e del nostro Diletto.

E questo ti sia sempre piombo a' piedi,

per farti mover lento com' uom lasso

e al sì e al no che tu non vedi:

ché quelli è tra li stolti bene a basso,

che sanza distinzione afferma e nega

ne l'un così come ne l'altro passo;

perch' elli 'ncontra che più volte piega

l'oppinïon corrente in falsa parte,

e poi l'affetto l'intelletto lega.

Vie più che 'ndarno da riva si parte,

perché non torna tal qual e' si move,

chi pesca per lo vero e non ha l'arte.

E di ciò sono al mondo aperte prove

Parmenide, Melisso e Brisso e molti,

li quali andaro e non sapëan dove;

sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti

che furon come spade a le Scritture

in render torti li diritti volti.

Non sien le genti, ancor, troppo sicure

a giudicar, sì come quei che stima

le biade in campo pria che sien mature;

ch'i' ho veduto tutto 'l verno prima

lo prun mostrarsi rigido e feroce,

poscia portar la rosa in su la cima;

e legno vidi già dritto e veloce

correr lo mar per tutto suo cammino,

perire al fine a l'intrar de la foce.

Non creda donna Berta e ser Martino,

per vedere un furare, altro offerere,

vederli dentro al consiglio divino;

ché quel può surgere, e quel può cadere».

martes, 25 de agosto de 2020

Paradiso, Canto X

CANTO X

[Canto X, nel quale santo Tommaso d'Aquino de l'ordine de' Frati Predicatori parla nel cielo del Sole; e qui comincia la quarta parte.]

Guardando nel suo Figlio con l'Amore

che l'uno e l'altro etternalmente spira,

lo primo e ineffabile Valore

quanto per mente e per loco si gira

con tant' ordine fé, ch'esser non puote

sanza gustar di lui chi ciò rimira.

Leva dunque, lettore, a l'alte rote

meco la vista, dritto a quella parte

dove l'un moto e l'altro si percuote;

e lì comincia a vagheggiar ne l'arte

di quel maestro che dentro a sé l'ama,

tanto che mai da lei l'occhio non parte.

Vedi come da indi si dirama

l'oblico cerchio che i pianeti porta,

per sodisfare al mondo che li chiama.

Che se la strada lor non fosse torta,

molta virtù nel ciel sarebbe in vano,

e quasi ogne potenza qua giù morta;

e se dal dritto più o men lontano

fosse 'l partire, assai sarebbe manco

e giù e sù de l'ordine mondano.

Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco,

dietro pensando a ciò che si preliba,

s'esser vuoi lieto assai prima che stanco.

Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba;

ché a sé torce tutta la mia cura

quella materia ond' io son fatto scriba.

Lo ministro maggior de la natura,

che del valor del ciel lo mondo imprenta

e col suo lume il tempo ne misura,

con quella parte che sù si rammenta

congiunto, si girava per le spire

in che più tosto ognora s'appresenta;

e io era con lui; ma del salire

non m'accors' io, se non com' uom s'accorge,

anzi 'l primo pensier, del suo venire.

Bëatrice quella che sì scorge

di bene in meglio, sì subitamente

che l'atto suo per tempo non si sporge.

Quant' esser convenia da sé lucente

quel ch'era dentro al sol dov' io entra'mi,

non per color, ma per lume parvente!

Perch' io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami,

sì nol direi che mai s'imaginasse;

ma creder puossi e di veder si brami.

E se le fantasie nostre son basse

a tanta altezza, non è maraviglia;

ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse.

Tal era quivi la quarta famiglia

de l'alto Padre, che sempre la sazia,

mostrando come spira e come figlia.

E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,

ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo

sensibil t'ha levato per sua grazia».

Cor di mortal non fu mai sì digesto

a divozione e a rendersi a Dio

con tutto 'l suo gradir cotanto presto,

come a quelle parole mi fec' io;

e sì tutto 'l mio amore in lui si mise,

che Bëatrice eclissò ne l'oblio.

Non le dispiacque; ma sì se ne rise,

che lo splendor de li occhi suoi ridenti

mia mente unita in più cose divise.

Io vidi più folgór vivi e vincenti

far di noi centro e di sé far corona,

più dolci in voce che in vista lucenti:

così cinger la figlia di Latona

vedem talvolta, quando l'aere è pregno,

sì che ritenga il fil che fa la zona.

Ne la corte del cielo, ond' io rivegno,

si trovan molte gioie care e belle

tanto che non si posson trar del regno;

e 'l canto di quei lumi era di quelle;

chi non s'impenna sì che là sù voli,

dal muto aspetti quindi le novelle.

Poi, sì cantando, quelli ardenti soli

si fuor girati intorno a noi tre volte,

come stelle vicine a' fermi poli,

donne mi parver, non da ballo sciolte,

ma che s'arrestin tacite, ascoltando

fin che le nove note hanno ricolte.

E dentro a l'un senti' cominciar:

«Quando lo raggio de la grazia, onde s'accende

verace amore e che poi cresce amando,

multiplicato in te tanto resplende,

che ti conduce su per quella scala

u' sanza risalir nessun discende;

qual ti negasse il vin de la sua fiala

per la tua sete, in libertà non fora

se non com' acqua ch'al mar non si cala.

Tu vuo' saper di quai piante s'infiora

questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia

la bella donna ch'al ciel t'avvalora.

Io fui de li agni de la santa greggia

che Domenico mena per cammino

u' ben s'impingua se non si vaneggia.

Questi che m'è a destra più vicino,

frate e maestro fummi, ed esso Alberto

è di Cologna, e io Thomas d'Aquino.

Se sì di tutti li altri esser vuo' certo,

di retro al mio parlar ten vien col viso

girando su per lo beato serto.

Quell' altro fiammeggiare esce del riso

di Grazïan, che l'uno e l'altro foro

aiutò sì che piace in paradiso.

L'altro ch'appresso addorna il nostro coro,

quel Pietro fu che con la poverella

offerse a Santa Chiesa suo tesoro.

La quinta luce, ch'è tra noi più bella,

spira di tale amor, che tutto 'l mondo

là giù ne gola di saper novella:

entro v'è l'alta mente u' sì profondo

saver fu messo, che, se 'l vero è vero,

a veder tanto non surse il secondo.

Appresso vedi il lume di quel cero

che giù in carne più a dentro vide

l'angelica natura e 'l ministero.

Ne l'altra piccioletta luce ride

quello avvocato de' tempi cristiani

del cui latino Augustin si provide.

Or se tu l'occhio de la mente trani

di luce in luce dietro a le mie lode,

già de l'ottava con sete rimani.

Per vedere ogne ben dentro vi gode

l'anima santa che 'l mondo fallace

fa manifesto a chi di lei ben ode.

Lo corpo ond' ella fu cacciata giace

giuso in Cieldauro; ed essa da martiro

e da essilio venne a questa pace.

Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro

d'Isidoro, di Beda e di Riccardo,

che a considerar fu più che viro.

Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,

'l lume d'uno spirto che 'n pensieri

gravi a morir li parve venir tardo:

essa è la luce etterna di Sigieri,

che, leggendo nel Vico de li Strami,

silogizzò invidïosi veri».

Indi, come orologio che ne chiami

ne l'ora che la sposa di Dio surge

a mattinar lo sposo perché l'ami,

che l'una parte e l'altra tira e urge,

tin tin sonando con sì dolce nota,

che 'l ben disposto spirto d'amor turge;

così vid' ïo la gloriosa rota

muoversi e render voce a voce in tempra

e in dolcezza ch'esser non pò nota

se non colà dove gioir s'insempra.

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