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miércoles, 21 de octubre de 2020

XXV CARATTERE DI DANTE

XXV

CARATTERE DI DANTE

Fu il nostro poeta, oltre alle cose predette, d'animo alto e disdegnoso molto; tanto che, cercandosi per alcun suo amico, il quale ad istanzia de' suoi prieghi il facea, che egli potesse ritornare in Fiorenza, il che egli oltre ad ogni altra cosa sommamente disiderava, né trovandosi a ciò alcun modo con coloro li quali il governo della republica allora aveano nelle mani, se non uno, il quale era questo: che egli per certo spazio stesse in prigione, e dopo quello in alcuna solennitá publica fosse misericordievolmente alla nostra principale ecclesia offerto, e per conseguente libero e fuori d'ogni condennagione per adietro fatta di lui; la qual cosa parendogli convenirsi e usarsi in qualunque e depressi e infami uomini, e non in altri: per che oltre al suo maggiore disiderio, preelesse di stare in esilio, anzi che per cotal via tornare in casa sua. Oh isdegno laudevole di magnanimo, quanto virilmente operasti, reprimendo l'ardente disio del ritornare per via meno che degna ad uomo nel grembo della filosofia nutricato!

Molto simigliantemente presunse di sé, né gli parve meno valere, secondo che li suoi contemporanei rapportano, che el valesse; la qual cosa, tra l'altre volte, apparve una notabilmente, mentre ch'egli era con la sua setta nel colmo del reggimento della republica. Che, conciofossecosaché per coloro li quali erano depressi fosse chiamato, mediante Bonifazio papa ottavo, a ridirizzare lo stato della nostra cittá, un fratello ovvero congiunto di Filippo allora re di Francia, il cui nome fu Carlo; si ragunarono a uno consiglio per provedere a questo fatto tutti li prencipi della setta, con la quale esso tenea; e quivi tra l'altre cose providero, che ambasceria si dovesse mandare al papa, il quale allora era a Roma, per la quale s'inducesse il detto papa a dovere ostare alla venuta del detto Carlo, ovvero lui, con concordia della setta, la quale reggeva, far venire. E venuto al diliberare chi dovesse esser prencipe di cotale legazione, fu per tutti detto che Dante fosse desso. Alla quale richiesta Dante, alquanto sopra a sé stato, disse: - Se io vo, chi rimane? se io rimango, chi va?, - quasi esso solo fosse colui che tra tutti valesse, e per cui tutti gli altri valessero. Questa parola fu intesa e raccolta, ma quello che di ciò seguisse non fa al presente proposito, e però, passando avanti, il lascio stare.

Oltre a queste cose, fu questo valente uomo in tutte le sue avversitá fortissimo: solo in una cosa non so se io mi dica fu impaziente o animoso, cioè in opera pertenente a parte, poi che in esilio fu, troppo piú che alla sua sufficienzia non appartenea, e ch'egli non volea che di lui per altrui si credesse. E accioché a qual parte fosse cosí animoso e pertinace appaia, mi pare sia da procedere alquanto piú oltre scrivendo.

Io credo che giusta ira di Dio permettesse, giá è gran tempo, quasi tutta Toscana e Lombardia in due parti dividersi: delle quali, onde cotali nomi s'avessero, non so; ma l'una si chiamò e chiama «parte guelfa», e l'altra fu «ghibellina» chiamata. E di tanta efficacia e reverenzia furono negli stolti animi di molti questi due nomi, che, per difendere quello che alcuno avesse eletto per suo contra il contrario, non gli era di perdere gli suoi beni e ultimamente la vita, se bisogno fosse fatto, malagevole. E sotto questi titoli molte volte le cittá italiche sostennero di gravissime pressure e mutamenti; e intra l'altre la nostra cittá, quasi capo e dell'uno nome e dell'altro, secondo il mutamento de' cittadini; intanto che gli maggiori di Dante per guelfi da' ghibellini furono due volte cacciati di casa loro, ed egli similemente, sotto il titolo di guelfo, tenne i freni della republica in Firenze. Della quale cacciato, come mostrato è, non da' ghibellini ma da' guelfi, e veggendo sé non potere ritornare, in tanto mutò l'animo, che niuno piú fiero ghibellino e a' guelfi avversario fu come lui; e quello di che io piú mi vergogno in servigio della sua memoria è che publichissima cosa è in Romagna, lui ogni femminella, ogni piccol fanciullo ragionante di parte e dannante la ghibellina, l'avrebbe a tanta insania mosso, che a gittare le pietre l'avrebbe condotto, non avendo taciuto. E con questa animositá si visse infino alla morte.

Certo, io mi vergogno dovere con alcuno difetto maculare la fama di cotanto uomo; ma il cominciato ordine delle cose in alcuna parte il richiede; percioché, se nelle cose meno che laudevoli in lui, mi tacerò, io torrò molta fede alle laudevoli giá mostrate. A lui medesimo adunque mi scuso, il quale per avventura me scrivente con isdegnoso occhio d'alta parte del cielo ragguarda.

Tra cotanta virtú, tra cotanta scienzia, quanta dimostrato è di sopra essere stata in questo mirifico poeta, trovò ampissimo luogo la lussuria, e non solamente ne' giovani anni, ma ancora ne' maturi. Il quale vizio, comeché naturale e comune e quasi necessario sia, nel vero non che commendare, ma scusare non si può degnamente. Ma chi sará tra' mortali giusto giudice a condennarlo? Non io. Oh poca fermezza, oh bestiale appetito degli uomini, che cosa non possono le femmine in noi, s'elle vogliono, che, eziandio non volendo, posson gran cose? Esse hanno la vaghezza, la bellezza e il naturale appetito e altre cose assai continuamente per loro ne' cuori degli uomini procuranti; e che questo sia vero, lasciamo stare quello che Giove per Europa, o Ercule per Iole, o Paris per Elena facessero; che, percioché poetiche cose sono, molti di poco sentimento le dirien favole; ma mostrisi per le cose non convenevoli ad alcuno di negare. Era ancora nel mondo piú che una femmina quando il nostro primo padre, lasciato il comandamento fattogli dalla propia bocca di Dio, s'accostò alle persuasioni di lei? Certo no. E David, non ostante che molte n'avesse, solamente veduta Bersabé, per lei dimenticò Iddio, il suo regno, sé e la sua onestá, e adultero prima e poi omicida divenne: che si dee credere ch'egli avesse fatto, se ella alcuna cosa avesse comandato? E Salomone, al cui senno niuno, dal figliuolo di Dio in fuori, aggiunse mai, non abbandonò colui che savio l'aveva fatto, e per piacere a una femmina s'inginocchiò e adorò Baalim? Che fece Erode? che altri molti, da niuna altra cosa tirati che dal piacer loro? Adunque tra tanti e tali non iscusato, ma, accusato con assai meno curva fronte che solo, può passare il nostro poeta. E questo basti al presente de' suoi costumi piú notabili avere contato.


jueves, 27 de agosto de 2020

Paradiso, Canto XVIII

CANTO XVIII

[Canto XVIII, nel quale si monta ne la stella di Giove, e narrasi come li luminari spirituali figuravano mirabilmente.]

Già si godeva solo del suo verbo

quello specchio beato, e io gustava

lo mio, temprando col dolce l'acerbo;

e quella donna ch'a Dio mi menava

disse: «Muta pensier; pensa ch'i' sono

presso a colui ch'ogne torto disgrava».

Io mi rivolsi a l'amoroso suono

del mio conforto; e qual io allor vidi

ne li occhi santi amor, qui l'abbandono:

non perch' io pur del mio parlar diffidi,

ma per la mente che non può redire

sovra sé tanto, s'altri non la guidi.

Tanto poss' io di quel punto ridire,

che, rimirando lei, lo mio affetto

libero fu da ogne altro disire,

fin che 'l piacere etterno, che diretto

raggiava in Bëatrice, dal bel viso

mi contentava col secondo aspetto.

Vincendo me col lume d'un sorriso,

ella mi disse: «Volgiti e ascolta;

ché non pur ne' miei occhi è paradiso».

Come si vede qui alcuna volta

l'affetto ne la vista, s'elli è tanto,

che da lui sia tutta l'anima tolta,

così nel fiammeggiar del folgór santo,

a ch'io mi volsi, conobbi la voglia

in lui di ragionarmi ancora alquanto.

El cominciò: «In questa quinta soglia

de l'albero che vive de la cima

e frutta sempre e mai non perde foglia,

spiriti son beati, che giù, prima

che venissero al ciel, fuor di gran voce,

sì ch'ogne musa ne sarebbe opima.

Però mira ne' corni de la croce:

quello ch'io nomerò, lì farà l'atto

che fa in nube il suo foco veloce».

Io vidi per la croce un lume tratto

dal nomar Iosuè, com' el si feo;

né mi fu noto il dir prima che 'l fatto.

E al nome de l'alto Macabeo

vidi moversi un altro roteando,

e letizia era ferza del paleo.

Così per Carlo Magno e per Orlando

due ne seguì lo mio attento sguardo,

com' occhio segue suo falcon volando.

Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo

e 'l duca Gottifredi la mia vista

per quella croce, e Ruberto Guiscardo.

Indi, tra l'altre luci mota e mista,

mostrommi l'alma che m'avea parlato

qual era tra i cantor del cielo artista.

Io mi rivolsi dal mio destro lato

per vedere in Beatrice il mio dovere,

o per parlare o per atto, segnato;

e vidi le sue luci tanto mere,

tanto gioconde, che la sua sembianza

vinceva li altri e l'ultimo solere.

E come, per sentir più dilettanza

bene operando, l'uom di giorno in giorno

s'accorge che la sua virtute avanza,

sì m'accors' io che 'l mio girare intorno

col cielo insieme avea cresciuto l'arco,

veggendo quel miracol più addorno.

E qual è 'l trasmutare in picciol varco

di tempo in bianca donna, quando 'l volto

suo si discarchi di vergogna il carco,

tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,

per lo candor de la temprata stella

sesta, che dentro a sé m'avea ricolto.

Io vidi in quella giovïal facella

lo sfavillar de l'amor che lì era

segnare a li occhi miei nostra favella.

E come augelli surti di rivera,

quasi congratulando a lor pasture,

fanno di sé or tonda or altra schiera,

sì dentro ai lumi sante creature

volitando cantavano, e faciensi

or D, or I, or L in sue figure.

Prima, cantando, a sua nota moviensi;

poi, diventando l'un di questi segni,

un poco s'arrestavano e taciensi.

O diva Pegasëa che li 'ngegni

fai glorïosi e rendili longevi,

ed essi teco le cittadi e ' regni,

illustrami di te, sì ch'io rilevi

le lor figure com' io l'ho concette:

paia tua possa in questi versi brevi!

Mostrarsi dunque in cinque volte sette

vocali e consonanti; e io notai

le parti sì, come mi parver dette.

'DILIGITE IUSTITIAM', primai fur verbo e nome di tutto 'l dipinto;

'QUI IUDICATIS TERRAM', fur sezzai.

Poscia ne l'emme del vocabol quinto

rimasero ordinate; sì che Giove

pareva argento lì d'oro distinto.

E vidi scendere altre luci dove

era il colmo de l'emme, e lì quetarsi

cantando, credo, il ben ch'a sé le move.

Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi

surgono innumerabili faville,

onde li stolti sogliono agurarsi,

resurger parver quindi più di mille

luci e salir, qual assai e qual poco,

sì come 'l sol che l'accende sortille;

e quïetata ciascuna in suo loco,

la testa e 'l collo d'un'aguglia vidi

rappresentare a quel distinto foco.

Quei che dipinge lì, non ha chi 'l guidi;

ma esso guida, e da lui si rammenta

quella virtù ch'è forma per li nidi.

L'altra bëatitudo, che contenta

pareva prima d'ingigliarsi a l'emme,

con poco moto seguitò la 'mprenta.

O dolce stella, quali e quante gemme

mi dimostraro che nostra giustizia

effetto sia del ciel che tu ingemme!

Per ch'io prego la mente in che s'inizia

tuo moto e tua virtute, che rimiri

ond' esce il fummo che 'l tuo raggio vizia;

sì ch'un'altra fïata omai s'adiri

del comperare e vender dentro al templo

che si murò di segni e di martìri.

O milizia del ciel cu' io contemplo,

adora per color che sono in terra

tutti svïati dietro al malo essemplo!

Già si solea con le spade far guerra;

ma or si fa togliendo or qui or quivi

lo pan che 'l pïo Padre a nessun serra.

Ma tu che sol per cancellare scrivi,

pensa che Pietro e Paulo, che moriro

per la vigna che guasti, ancor son vivi.

Ben puoi tu dire: «I' ho fermo 'l disiro

sì a colui che volle viver solo

e che per salti fu tratto al martiro,

ch'io non conosco il pescator né Polo».

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