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miércoles, 26 de agosto de 2020

Paradiso, Canto XIV

CANTO XIV

[Canto XIV, nel quale Salamone solve alcuna cosa dubitata; e montasi ne la stella di Marte. La quinta parte comincia qui.]

Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro

movesi l'acqua in un ritondo vaso,

secondo ch'è percosso fuori o dentro:

ne la mia mente fé sùbito caso

questo ch'io dico, sì come si tacque

la glorïosa vita di Tommaso,

per la similitudine che nacque

del suo parlare e di quel di Beatrice,

a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:

«A costui fa mestieri, e nol vi dice

né con la voce né pensando ancora,

d'un altro vero andare a la radice.

Diteli se la luce onde s'infiora

vostra sustanza, rimarrà con voi

etternalmente sì com' ell' è ora;

e se rimane, dite come, poi

che sarete visibili rifatti,

esser porà ch'al veder non vi nòi».

Come, da più letizia pinti e tratti,

a la fïata quei che vanno a rota

levan la voce e rallegrano li atti,

così, a l'orazion pronta e divota,

li santi cerchi mostrar nova gioia

nel torneare e ne la mira nota.

Qual si lamenta perché qui si moia

per viver colà sù, non vide quive

lo refrigerio de l'etterna ploia.

Quell' uno e due e tre che sempre vive

e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno,

non circunscritto, e tutto circunscrive,

tre volte era cantato da ciascuno

di quelli spirti con tal melodia,

ch'ad ogne merto saria giusto muno.

E io udi' ne la luce più dia

del minor cerchio una voce modesta,

forse qual fu da l'angelo a Maria,

risponder: «Quanto fia lunga la festa

di paradiso, tanto il nostro amore

si raggerà dintorno cotal vesta.

La sua chiarezza séguita l'ardore;

l'ardor la visïone, e quella è tanta,

quant' ha di grazia sovra suo valore.

Come la carne glorïosa e santa

fia rivestita, la nostra persona

più grata fia per esser tutta quanta;

per che s'accrescerà ciò che ne dona

di gratüito lume il sommo bene,

lume ch'a lui veder ne condiziona;

onde la visïon crescer convene,

crescer l'ardor che di quella s'accende,

crescer lo raggio che da esso vene.

Ma sì come carbon che fiamma rende,

e per vivo candor quella soverchia,

sì che la sua parvenza si difende;

così questo folgór che già ne cerchia

fia vinto in apparenza da la carne

che tutto dì la terra ricoperchia;

né potrà tanta luce affaticarne:

ché li organi del corpo saran forti

a tutto ciò che potrà dilettarne».

Tanto mi parver sùbiti e accorti

e l'uno e l'altro coro a dicer «Amme!»,

che ben mostrar disio d'i corpi morti:

forse non pur per lor, ma per le mamme,

per li padri e per li altri che fuor cari

anzi che fosser sempiterne fiamme.

Ed ecco intorno, di chiarezza pari,

nascere un lustro sopra quel che v'era,

per guisa d'orizzonte che rischiari.

E sì come al salir di prima sera

comincian per lo ciel nove parvenze,

sì che la vista pare e non par vera,

parvemi lì novelle sussistenze

cominciare a vedere, e fare un giro

di fuor da l'altre due circunferenze.

Oh vero sfavillar del Santo Spiro!

come si fece sùbito e candente

a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!

Ma Bëatrice sì bella e ridente

mi si mostrò, che tra quelle vedute

si vuol lasciar che non seguir la mente.

Quindi ripreser li occhi miei virtute

a rilevarsi; e vidimi translato

sol con mia donna in più alta salute.

Ben m'accors' io ch'io era più levato,

per l'affocato riso de la stella,

che mi parea più roggio che l'usato.

Con tutto 'l core e con quella favella

ch'è una in tutti, a Dio feci olocausto,

qual conveniesi a la grazia novella.

E non er' anco del mio petto essausto

l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi

esso litare stato accetto e fausto;

ché con tanto lucore e tanto robbi

m'apparvero splendor dentro a due raggi,

ch'io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».

Come distinta da minori e maggi

lumi biancheggia tra ' poli del mondo

Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;

sì costellati facean nel profondo

Marte quei raggi il venerabil segno

che fan giunture di quadranti in tondo.

Qui vince la memoria mia lo 'ngegno;

ché quella croce lampeggiava Cristo,

sì ch'io non so trovare essempro degno;

ma chi prende sua croce e segue Cristo,

ancor mi scuserà di quel ch'io lasso,

vedendo in quell' albor balenar Cristo.

Di corno in corno e tra la cima e 'l basso

si movien lumi, scintillando forte

nel congiugnersi insieme e nel trapasso:

così si veggion qui diritte e torte,

veloci e tarde, rinovando vista,

le minuzie d'i corpi, lunghe e corte,

moversi per lo raggio onde si lista

talvolta l'ombra che, per sua difesa,

la gente con ingegno e arte acquista.

E come giga e arpa, in tempra tesa

di molte corde, fa dolce tintinno

a tal da cui la nota non è intesa,

così da' lumi che lì m'apparinno

s'accogliea per la croce una melode

che mi rapiva, sanza intender l'inno.

Ben m'accors' io ch'elli era d'alte lode,

però ch'a me venìa «Resurgi» e «Vinci»

come a colui che non intende e ode.

Ïo m'innamorava tanto quinci,

che 'nfino a lì non fu alcuna cosa

che mi legasse con sì dolci vinci.

Forse la mia parola par troppo osa,

posponendo il piacer de li occhi belli,

ne' quai mirando mio disio ha posa;

ma chi s'avvede che i vivi suggelli

d'ogne bellezza più fanno più suso,

e ch'io non m'era lì rivolto a quelli,

escusar puommi di quel ch'io m'accuso

per escusarmi, e vedermi dir vero:

ché 'l piacer santo non è qui dischiuso,

perché si fa, montando, più sincero.

lunes, 24 de agosto de 2020

Purgatorio, Canto XXVIII

CANTO XXVIII

[Canto XXVIII, ove si tratta come la vita attiva distingue a l'auttore la natura del fiume di Letè, il quale trovò nel detto Paradiso, ove molto dimostra de la felicitade e del peccato di Adamo, e del modo e ordine del detto luogo.]

Vago già di cercar dentro e dintorno

la divina foresta spessa e viva,

ch'a li occhi temperava il novo giorno,

sanza più aspettar, lasciai la riva,

prendendo la campagna lento lento

su per lo suol che d'ogne parte auliva.

Un'aura dolce, sanza mutamento

avere in sé, mi feria per la fronte

non di più colpo che soave vento;

per cui le fronde, tremolando, pronte

tutte quante piegavano a la parte

u' la prim' ombra gitta il santo monte;

non però dal loro esser dritto sparte

tanto, che li augelletti per le cime

lasciasser d'operare ogne lor arte;

ma con piena letizia l'ore prime,

cantando, ricevieno intra le foglie,

che tenevan bordone a le sue rime,

tal qual di ramo in ramo si raccoglie

per la pineta in su 'l lito di Chiassi,

quand' Ëolo scilocco fuor discioglie.

Già m'avean trasportato i lenti passi

dentro a la selva antica tanto, ch'io

non potea rivedere ond' io mi 'ntrassi;

ed ecco più andar mi tolse un rio,

che 'nver' sinistra con sue picciole onde

piegava l'erba che 'n sua ripa uscìo.

Tutte l'acque che son di qua più monde,

parrieno avere in sé mistura alcuna

verso di quella, che nulla nasconde,

avvegna che si mova bruna bruna

sotto l'ombra perpetüa, che mai

raggiar non lascia sole ivi né luna.

Coi piè ristetti e con li occhi passai

di là dal fiumicello, per mirare

la gran varïazion d'i freschi mai;

e là m'apparve, sì com' elli appare

subitamente cosa che disvia

per maraviglia tutto altro pensare,

una donna soletta che si gia

e cantando e scegliendo fior da fiore

ond' era pinta tutta la sua via.

«Deh, bella donna, che a' raggi d'amore

ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti

che soglion esser testimon del core,

vegnati in voglia di trarreti avanti»,

diss' io a lei, «verso questa rivera,

tanto ch'io possa intender che tu canti.

Tu mi fai rimembrar dove e qual era

Proserpina nel tempo che perdette

la madre lei, ed ella primavera».

Come si volge, con le piante strette

a terra e intra sé, donna che balli,

e piede innanzi piede a pena mette,

volsesi in su i vermigli e in su i gialli

fioretti verso me, non altrimenti

che vergine che li occhi onesti avvalli;

e fece i prieghi miei esser contenti,

sì appressando sé, che 'l dolce suono

veniva a me co' suoi intendimenti.

Tosto che fu là dove l'erbe sono

bagnate già da l'onde del bel fiume,

di levar li occhi suoi mi fece dono.

Non credo che splendesse tanto lume

sotto le ciglia a Venere, trafitta

dal figlio fuor di tutto suo costume.

Ella ridea da l'altra riva dritta,

trattando più color con le sue mani,

che l'alta terra sanza seme gitta.

Tre passi ci facea il fiume lontani;

ma Elesponto, là 've passò Serse,

ancora freno a tutti orgogli umani,

più odio da Leandro non sofferse

per mareggiare intra Sesto e Abido,

che quel da me perch' allor non s'aperse.

«Voi siete nuovi, e forse perch' io rido»,

cominciò ella, «in questo luogo eletto

a l'umana natura per suo nido,

maravigliando tienvi alcun sospetto;

ma luce rende il salmo Delectasti,

che puote disnebbiar vostro intelletto.

E tu che se' dinanzi e mi pregasti,

dì s'altro vuoli udir; ch'i' venni presta

ad ogne tua question tanto che basti».

«L'acqua», diss' io, «e 'l suon de la foresta

impugnan dentro a me novella fede

di cosa ch'io udi' contraria a questa».

Ond' ella: «Io dicerò come procede

per sua cagion ciò ch'ammirar ti face,

e purgherò la nebbia che ti fiede.

Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,

fé l'uom buono e a bene, e questo loco

diede per arr' a lui d'etterna pace.

Per sua difalta qui dimorò poco;

per sua difalta in pianto e in affanno

cambiò onesto riso e dolce gioco.

Perché 'l turbar che sotto da sé fanno

l'essalazion de l'acqua e de la terra,

che quanto posson dietro al calor vanno,

a l'uomo non facesse alcuna guerra,

questo monte salìo verso 'l ciel tanto,

e libero n'è d'indi ove si serra.

Or perché in circuito tutto quanto

l'aere si volge con la prima volta,

se non li è rotto il cerchio d'alcun canto,

in questa altezza ch'è tutta disciolta

ne l'aere vivo, tal moto percuote,

e fa sonar la selva perch' è folta;

e la percossa pianta tanto puote,

che de la sua virtute l'aura impregna

e quella poi, girando, intorno scuote;

e l'altra terra, secondo ch'è degna

per sé e per suo ciel, concepe e figlia

di diverse virtù diverse legna.

Non parrebbe di là poi maraviglia,

udito questo, quando alcuna pianta

sanza seme palese vi s'appiglia.

E saper dei che la campagna santa

dove tu se', d'ogne semenza è piena,

e frutto ha in sé che di là non si schianta.

L'acqua che vedi non surge di vena

che ristori vapor che gel converta,

come fiume ch'acquista e perde lena;

ma esce di fontana salda e certa,

che tanto dal voler di Dio riprende,

quant' ella versa da due parti aperta.

Da questa parte con virtù discende

che toglie altrui memoria del peccato;

da l'altra d'ogne ben fatto la rende.

Quinci Letè; così da l'altro lato

Eünoè si chiama, e non adopra

se quinci e quindi pria non è gustato:

a tutti altri sapori esto è di sopra.

E avvegna ch'assai possa esser sazia

la sete tua perch' io più non ti scuopra,

darotti un corollario ancor per grazia;

né credo che 'l mio dir ti sia men caro,

se oltre promession teco si spazia.

Quelli ch'anticamente poetaro

l'età de l'oro e suo stato felice,

forse in Parnaso esto loco sognaro.

Qui fu innocente l'umana radice;

qui primavera sempre e ogne frutto;

nettare è questo di che ciascun dice».

Io mi rivolsi 'n dietro allora tutto

a' miei poeti, e vidi che con riso

udito avëan l'ultimo costrutto;

poi a la bella donna torna' il viso.

miércoles, 19 de agosto de 2020

Inferno, Canto XI

CANTO XI

[Canto undecimo, nel quale tratta de' tre cerchi disotto d'inferno, e distingue de le genti che dentro vi sono punite, e che quivi più che altrove; e solve una questione.]

In su l'estremità d'un'alta ripa

che facevan gran pietre rotte in cerchio,

venimmo sopra più crudele stipa;

e quivi, per l'orribile soperchio

del puzzo che 'l profondo abisso gitta,

ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio

d'un grand' avello, ov' io vidi una scritta

che dicea: 'Anastasio papa guardo,

lo qual trasse Fotin de la via dritta'.

«Lo nostro scender conviene esser tardo,

sì che s'ausi un poco in prima il senso al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».

Così 'l maestro; e io «Alcun compenso», dissi lui, «trova che 'l tempo non passi perduto». Ed elli: «Vedi ch'a ciò penso».

«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,

cominciò poi a dir, «son tre cerchietti

di grado in grado, come que' che lassi.

Tutti son pien di spirti maladetti;

ma perché poi ti basti pur la vista,

intendi come e perché son costretti.

D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista,

ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale

o con forza o con frode altrui contrista.

Ma perché frode è de l'uom proprio male,

più spiace a Dio; e però stan di sotto li frodolenti, e più dolor li assale.

Di vïolenti il primo cerchio è tutto;

ma perché si fa forza a tre persone,

in tre gironi è distinto e costrutto.

A Dio, a sé, al prossimo si pòne

far forza, dico in loro e in lor cose,

come udirai con aperta ragione.

Morte per forza e ferute dogliose

nel prossimo si danno, e nel suo avere

ruine, incendi e tollette dannose;

onde omicide e ciascun che mal fiere,

guastatori e predon, tutti tormenta

lo giron primo per diverse schiere.

Puote omo avere in sé man vïolenta

e ne' suoi beni; e però nel secondo

giron convien che sanza pro si penta

qualunque priva sé del vostro mondo,

biscazza e fonde la sua facultade,

e piange là dov' esser de' giocondo.

Puossi far forza ne la deïtade,

col cor negando e bestemmiando quella,

e spregiando natura e sua bontade;

e però lo minor giron suggella

del segno suo e Soddoma e Caorsa

e chi, spregiando Dio col cor, favella.

La frode, ond' ogne coscïenza è morsa,

può l'omo usare in colui che 'n lui fida

e in quel che fidanza non imborsa.

Questo modo di retro par ch'incida

pur lo vinco d'amor che fa natura;

onde nel cerchio secondo s'annida

ipocresia, lusinghe e chi affattura,

falsità, ladroneccio e simonia,

ruffian, baratti e simile lordura.

Per l'altro modo quell' amor s'oblia

che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,

di che la fede spezïal si cria;

onde nel cerchio minore, ov' è 'l punto

de l'universo in su che Dite siede,

qualunque trade in etterno è consunto».

E io: «Maestro, assai chiara procede

la tua ragione, e assai ben distingue

questo baràtro e 'l popol ch'e' possiede.

Ma dimmi: quei de la palude pingue,

che mena il vento, e che batte la pioggia,

e che s'incontran con sì aspre lingue,

perché non dentro da la città roggia

sono ei puniti, se Dio li ha in ira?

e se non li ha, perché sono a tal foggia?».

Ed elli a me «Perché tanto delira»,

disse, «lo 'ngegno tuo da quel che sòle?

o ver la mente dove altrove mira?

Non ti rimembra di quelle parole

con le quai la tua Etica pertratta

le tre disposizion che 'l ciel non vole,

incontenenza, malizia e la matta

bestialitade? e come incontenenza

men Dio offende e men biasimo accatta?

Se tu riguardi ben questa sentenza,

e rechiti a la mente chi son quelli

che sù di fuor sostegnon penitenza,

tu vedrai ben perché da questi felli

sien dipartiti, e perché men crucciata

la divina vendetta li martelli».

«O sol che sani ogne vista turbata,

tu mi contenti sì quando tu solvi,

che, non men che saver, dubbiar m'aggrata.

Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,

diss' io, «là dove di' ch'usura offende

la divina bontade, e 'l groppo solvi».

«Filosofia», mi disse, «a chi la 'ntende,

nota, non pure in una sola parte,

come natura lo suo corso prende

dal divino 'ntelletto e da sua arte;

e se tu ben la tua Fisica note,

tu troverai, non dopo molte carte,

che l'arte vostra quella, quanto pote,

segue, come 'l maestro fa 'l discente;

sì che vostr' arte a Dio quasi è nepote.

Da queste due, se tu ti rechi a mente

lo Genesì dal principio, convene

prender sua vita e avanzar la gente;

e perché l'usuriere altra via tene,

per sé natura e per la sua seguace

dispregia, poi ch'in altro pon la spene.

Ma seguimi oramai che 'l gir mi piace;

ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta,

e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace,

e 'l balzo via là oltra si dismonta».

Portfolio

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