ARGOMENTI IN TERZA RIMA ALLA "DIVINA COMMEDIA" DI DANTE ALIGHIERI.
ALL'INFERNO
«Nel mezzo del cammin di nostra vita»,
smarrito in una valle l'autore,
e la sua via da tre bestie impedita,
Virgilio, dei latin poeti onore,
da Beatrice gli apparve mandato
liberator del periglioso errore.
Dal qual poi che aperto fu mostrato
a lui di sua venuta la cagione,
e 'l tramortito spirto suscitato,
senza piú far del suo andar quistione,
dietro gli va, ed entra in una porta
ampia e spedita a tututte persone.
Adunque, entrati nell'aura morta,
l'anime triste vider di coloro
che senza fama usâr la vita corta;
io dico de' cattivi: eran costoro
da moscon punti, e senza alcuna posa
correndo givan, con pianto sonoro.
Quindi, venuti sopra la limosa
riva d'un fiume, vide anime assai,
ciascuna di passar volenterosa.
A cui Caròn: - Per qui non passerai! -
di lontan grida; appresso, un gran baleno
gli toglie il viso e l'ascoltar de' guai.
Dal qual tornato in sé, di stupor pieno,
di lá da l'acqua in piú cocente affanno,
non per la via che l'anime teniéno,
si ritrovò; e quindi avanti vanno,
e pargoletti veggon senza luce
pianger, per l'altrui colpa, eterno danno.
Dietro alle piante poi del savio duce
passa con altri quattro in un castello,
dove alcun raggio di chiarezza luce.
Quivi vede seder sovr'un pratello
spiriti d'alta fama, senza pene,
fuor che d'alti sospiri, al parer d'ello.
Da questo loco discendendo, viene
dove Minós esamina gli entranti,
fier quanto a tanto officio si conviene.
Quivi le strida sente e gli alti pianti
di quei che furon peccator carnali,
infestati da venti aspri e sonanti,
dove Francesca e Polo li lor mali
contano. E quindi Cerbero latrante
vede sopra a' gulosi, infra li quali
Ciacco conosce; e, procedendo avante,
truova Plutone, e' prodighi e gli avari
vede giostrar con misero sembiante.
Che sia Fortuna e la cagion de' vari
suoi movimenti Virgilio gli schiude:
e, discendendo poi con passi rari,
truovan di Stige la nera palude,
la qual risurger vede di bollori,
da' sospir mossi d'alme in essa nude,
dove gli accidiosi peccatori,
e gl'iracundi, gorgogliando in quella,
fanno sentir li lor grevi dolori.
Sopra una fiamma poi doppia fiammella
subito vede, ed una di lontano
surgere ancora e rispondere ad ella.
Quivi Flegias, adirato, il pantano
oltre gli passa, nel qual vede strazio
far di Filippo Argenti, e non invano.
E
appena era di tal mirare sazio,
ch'a
piè della cittá di Dite giunti,
senza esser lor d'entrarvi dato spazio,
si vide, e quindi da disdegno punti
per la porta serrata lor nel petto
da li spiriti piú da Dio disiunti.
E mentre quivi stavan con sospetto,
le tre Furie infernai sovra le mura
Tesifon, vider, Megera ed Aletto.
Appresso, acciò che l'orribil figura
del Gorgon non vedesse, il buon maestro
gli occhi gli chiuse, e fennegli paura.
Di scender poi per lo cammin silvestro,
per cui la porta subito s'aprío,
mostra, e 'l passare a loro in quella, destro.
Quivi dolenti strida ed alte udio,
che de' sepolcri uscivano affocati,
de' quai pieno era tutto il loco rio:
in quegli essere intese i trascutati
eresiarci, e tutti quelli ancora
ch'a Epicuro dietro sono andati.
Lí, ragionando, picciola dimora
con Farinata e con un altro face,
ch'alquanto a l'arca pareva di fora.
Disegna poi come lo 'nferno giace,
da indi in giú, distinto in tre cerchietti,
e poi dimostra con ragion vivace
perché dentro alle mura i maladetti
spiriti sien di Dite, e nel suo cerchio,
piú che color che ha di sopra detti.
Centauri truova poi sovr'al coperchio
d'un'altra valle sovra Flegetonte,
nel qual chi fe' al prossimo soverchio
bollir vede per tutto; e perché cónte
le vie salvagge, a passar la riviera
Nesso gli fa della sua groppa ponte.
Oltre passati, in una selva fiera
di spirti, in bronchi noderosi e torti
mutati, entraron per via straniera.
Tutti se stessi i miseri avien morti,
che li piangean, divenuti bronconi;
dove gli fe' Pier delle Vigne accorti
delle dolenti lor condizioni
e delle sue; e nella selva stessa,
dopo gli uditi miseri sermoni,
da nere cagne un'anima rimessa
vide sbranare, e seppe a tal martiro
dannato chi la sustanzia, commessa
all'util suo, biscazza. E quindi gîro
piú giú, dove piovean fiamme di foco,
fuor della selva, sovra un sabbion diro;
lá dove Campaneo, curante poco,
vider giacer sotto la pioggia grave
con piú molti arroganti; e 'n questo loco,
seguendo, mostra con rima soave
d'una statua, ch'è di piú metalli,
l'acqua cadere in quelle valli prave,
e quattro fiumi per piú intervalli
nel mondo occulto fare, infino al punto
piú basso assai che tutte l'altre valli.
Poi ser Brunetto abbrusciato e consunto
sotto l'orribil pioggia correr vede,
col quale alquanto, parlando, congiunto,
di sua futura vita prende fede.
Poi, Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi,
Iacopo Rusticucci, infino al piede
di lui venuti, a' lor nuovi dimandi
sodisfa presto; e quinci procedette
dove anime trovò con tasche grandi
sedere a collo, sotto le fiammette,
di loro alcuni a l'arme conoscendo
stati usurieri, e per tre render sette.
Poi, sovra Gerion giú discendendo,
in Malebolge vene, ove i baratti
in diece vede, senza pro piangendo.
De' quali i primi da dimòn son tratti
con grandi scoreggiate per lo fondo,
scherniti
e lassi, vilmente disfatti;
lá
dove alcun ch'avea veduto al mondo
riconobbe, ch'era
bolognese, Venedico, e ruffiano; a cui secondo
Iason venia, che tolse
il ricco arnese
a' colchi. E quindi Alesso Interminelli
in uno sterco vide assai palese
pianger le sue lusinghe; e quindi quelli
che sottosopra in terra son commessi
per simonia; e lí par che favelli
con un papa Nicola; ed, oltre ad essi,
travolti vede quei che con fatture
gabbarono non ch'altrui, ma se istessi.
Quindi discendon lá ove l'oscure
pegole bollon chi baratteria
vivendo fece, e di quelle misture,
mentre che van con fiera compagnia
di diece diavol, parla un che fu tratto
da Graffiacan per la cottola via,
sé navarrese dicendo e baratto;
quinci com'el fuggi delle lor mani
racconta chiaro, e de' diavoli il fatto.
Sotto le cappe rance i pianti vani
degl'ipocriti poi racconta, e mostra
Anna e 'l suo suocer nelli luoghi strani
crocifissi giacer. Poi, nella chiostra
di Malebolge seguente, brogliare
fra' serpi vede della gente nostra,
quivi dannati per lo lor furare:
Agnolo e 'l Cianfa ed altri e Vanni Fucci;
li quai mirabilmente trasformare,
dopo nuovi atti, parlamenti e crucci,
e d'uomo in serpe, e poi di serpe in uomo,
in guisa tal, che mai vista non fucci,
discrive.
E poi chi mal consiglio, comoda,
come Ulisse, in fiamme acceso andando,
vede riprender dattero per pomo.
Pria con Ulisse, e poscia ragionando
col conte Guido, passa; e, pervenuto
su l'altra bolgia, vede gente andando
tutta tagliata sovente e minuto,
per lo peccato della scisma reo
da lor nel mondo falso in suso avuto.
Lí Maometto fesso discernéo,
e quel Beltram che giá tenne Altaforte,
e Curio e 'l Mosca, e molti qual potéo.
Appresso vide piú misera sorte
degli alchimisti fracidi e rognosi,
u' seppe da Capocchio l'agra morte,
e Mirra e Gianni Schicchi e piú lebbrosi
vide, ed i falsator per fiera sete
ritruopichi fumare stando oziosi:
tra' quali in quella inestricabil rete
vide Sinón, ed il maestro Adamo
garrir con lui, come lègger potete.
Quindi, lasciando l'uno e l'altro gramo,
dal mezzo in su gli figli della terra
uscir d'un pozzo vede, ed al richiamo
del gran poeta intramendue gli afferra
Anteo, e lor sovr'al freddo Cocito
posa, nel quale in quattro parti serra
il ghiaccio i traditor: quivi ghermito
Sassol de' Mascheron nella Caina,
e 'l Camiscion de' Pazzi, ebbe sentito.
Poscia nell'Antenora, ivi vicina,
tra gli altri dolorosi vide il Bocca,
e di Gian Soldanier l'alma meschina,
ed altri molti, ch'ora a dir non tocca,
sí come l'arcivescovo Ruggieri,
ed il conte Ugolino, anima sciocca.
Piú oltre andando pe' freddi sentieri,
spiriti truova nella Ptolomea
giacer riversi ne' ghiacci severi.
Quivi, racconta, l'alma si vedea
di Brancadoria e di frate Alberico,
che senza pro de' frutti si dolea.
Appresso vede l'Avversario antico
nel centro fitto, e Iuda Scariotto,
e Cassio e Bruto, di Cesar nemico,
nell'infima Iudecca star di sotto.
Quindi, pe' velli del fiero animale
discendendo, e salendo, il duca dotto
lui di fuor tira da cotanto male
per un pertugio, onde le cose belle
prima rivide, e per cotali scale
usciron
quindi «a riveder le stelle».
AL PURGATORIO
«Per correr miglior acqua alza le vele»
qui lo autore, e, seguendo Virgilio,
pe' dolci pomi sale e lascia il fiele.
Catón primier, fuor dell'eterno esilio,
truovano e seco parlan, procedendo;
poi dánno effetto al suo santo consilio.
Su la marina vede, discendendo
nell'aurora, piú anime sante,
e 'l suo Casella, al cui canto attendendo,
mentre l'anime nuove tutte quante
givan con lor, rimorsi da Catone,
fuggendo al monte ne girono avante.
truovan Manfredi ed altri, che moriro
per colpa fuor di nostra comunione
col perder tempo, adequare il martiro
alla lor colpa; e quindi, ragionando,
del solar corso gli solve il desiro
l'alto poeta sedendosi, quando
Belacqua vider per negghienza starsi;
e giá levati verso l'alto andando,
Bonconte ed altri molti incontro farsi
vider, li quali infino all'ultim'ora,
uccisi, a Dio penâro a ritornarsi.
Quindi Sordel trovar sol far dimora,
il qual, poi che l'autor molto ha parlato
contro ad Italia, il gran Virgilio onora.
Poi mena loro in un vallone ornato
d'erbe e di fior, nel qual, cantando, addita,
a Virgilio Sordello stando allato,
spiriti d'alta fama in questa vita,
tra' quai discesi, il Gallo di Gallura
riceve l'autor; quindi, finita
del di la luce, vede dell'altura
due angeli con due spade affocate
discender ad aver di costor cura.
Poscia, dormendo, con penne dorate
gli par che 'n alto un'aquila nel porti
d'infino al foco; quindi, alte levate
le luci, spaventato, da' conforti
fatto sicur di Virgilio, Lucia
gli mostra quivi loro avere scorti.
Del purgatorio gli addita la via,
dove venuti, qual fosse disegna
la porta, e' gradi onde a quel si salía,
chi fosse il portinaio, che veste tegna,
e quai fosser le chiavi, e che scrivesse
nella sua fronte, e che far si convegna
a chi passa lá dentro pone expresse.
E quindi come en la prima cornice
dichiara con fatica si giugnesse;
ed intagliate in alta parte dice
di quella istorie d'umiltá verace:
poi spirti carchi dall'una pendice
vede venir cantando, ed orar pace
per sé e per altrui, purgando quello
che ne' mortal superbia sozzo face;
tra' quali Umberto ed Odorisi, ad ello
appresso, e simil Provinzan Silvani
piangendo vide sotto il fascio fello.
Oltre passando pe' sentieri strani,
sotto le piante sue effigiati
vide gli altieri spiriti mondani.
Da uno splendido angiolo invitati
piú leggier salgono al giron secondo,
perché li «P» l'autor trovò scemati.
Lí alte voci, mosse dal profondo
ardor di caritá, udir volanti
per l'aere puro del levato mondo;
e
poi che giunti furon piú avanti,
videro
spirti cigliati sedere,
vestiti di ciliccio tutti quanti,
perché la invidia lor tolse il vedere:
Guido del Duca, Sapia e Rinieri
da Calvol truova lí piangere, e vere
cose racconta di tutti i sentieri
onde Arno cade, e simil di Romagna;
quindi altri suon sentiron piú severi.
Ed oltre su salendo la montagna,
da un altro angelo invitati foro,
parlando dell'orribile magagna
d'invidia, e dell'opposito, fra loro,
e, di sé tratto andando, vide cose
pacefiche in aspetto; né dimoro
fe' guari in quelle, che 'n caliginose
parti del monte entraron, dove l'ira
molti piangean con parole pietose.
Quivi gli mostra Marco quanto mira
nostra potenzia sia, e quanto possa
di sua natura, e quanto dal ciel tira.
Appresso usciti dall'aria grossa,
imaginando vede crudi effetti
venuti in molti da ira commossa.
Quivi gl'invia un angel; per che, stretti
alla grotta amendue, a non salire
dalla notte vegnente fûr costretti.
Posti a sedere incominciaro a dire
insieme dell'amor del bene scemo,
che 'n quel giron s'empieva con martire,
dove, sí come noi veder potemo,
distintamente Virgilio ragiona
come si scemi in uno ed altro estremo,
che sia amor, del quale ogni persona
tanto favella, e come nasca in noi.
L'abate li di San Zen da Verona
con altri assai correndo vede poi
e con lui parla, e seguel nell'oscuro
tempo, con altri retro a' passi suoi,
d'accidia l'acerbo. Indi ne mostra
come, dormendo in sul macigno duro,
qual fosse vide la nemica nostra,
e come da noi partasi, e, sdormito,
come venisse nella quinta chiostra,
fattogli a ciò da uno angel lo 'nvito.
Quivi giacendo assai spiriti truova,
che d'avarizia piangon l'acquisito
in giú rivolti e, perch'el non sen mova
alcun, legati tutti; e quivi parla
con un papa dal Fiesco; appresso pruova
l'onesta povertá, ed a lodarla
Ugo Ciappetta induce, i cui nepoti
nascer dimostra tutti atti a schifarla,
pien d'avarizia e d'ogni virtú vòti;
e come poscia contro alla nequizia,
passato il dí, cantando, vi si noti.
Quindi,
per tutto, novella letizia,
ed
il monte tremare infino al basso
dimostra, mosso da vera giustizia.
Qui truova Stazio non a lento passo
salire in su, al qual Virgilio chiede
della cagion del triemito del sasso.
la quale Stazio assegna; indi succede
al priego suo ancora a nominarsi.
Quindi, com'uom ch'appena quel che vede
crede, dichiara Stazio avanti farsi
ad onorar Virgilio, e gli fa chiaro
lui, per contrario peccato agli scarsi,
aver per molti secoli l'amaro
monte provato. E giá nel cerchio sesto,
parlando insieme, uno albero trovâro
donde una voce lor disse il modesto
gusto di molti; e, piú propinqui fatti,
chiaro s'avvider ch'ogni ramo in questo
albero è vòlto in giú, e d'alto tratti
vider cader liquor di foglia in foglia,
e sotto ad esso spirti macri e ratti
vider venir piú che per altra soglia
dell'erto monte, e pure in sú la vista
alli pomi tenean, che sí gl'invoglia.
Cosí andando infra la turba trista,
raffigurollo l'ombra di Forese:
con lui favella; e della gente mista
piú riconobbe, e, tra gli altri, il lucchese
Bonagiunta Orbiccian; poi una voce
all'albero appressarsi lor difese.
Un angel quinci al martiro che cuoce
gl'invita, ed essi, per l'ora che tarda
era, ciascun n'andava sú veloce,
mostrando Stazio a lui, se ben si guarda,
nostra generazione, e come l'ombra
prenda sembianza di corpo bugiarda,
e come sia da passione ingombra:
e, sí andando, pervennero al foco,
prima che 'l santo monte facesse ombra;
lungo 'l qual trapassando per un poco
d'un sentieruolo udîr voci nemiche
al vizio di lussuria, ed in quel loco
piú anime conobbe, che 'mpudiche
furon vivendo, e Guido Guinizelli
gli mostra Arnaldo in sí aspre fatiche.
Ma, poi che s'è dipartito da elli,
a trapassar lo foco i cari duci
confortan lui, ch'appena in mezzo a quelli
il trapassò. Di quindi a l'alte luci
salir gl'invita uno angel che cantava,
pria s'ascondesser li raggi caduci.
Vede nel sonno poi Lia che s'ornava
di fior la testa, cantando parole
nelle quali essa chi fosse mostrava.
Quindi levato nel levar del sole,
Virgilio di sé stesso il fa maestro,
sul monte giunti, e può far ciò che vuole.
Venuti adunque nel loco silvestro
truova una selva, ed in quella si spazia
su per lo lito di Letè sinestro.
Vede una donna, che a lui di grazia
parla e con verissime ragioni:
del fiume il moto e dell'aura il sazia.
Di quinci a vie piú alte ammirazioni
venuto, sette candelabri e molte
genti precedere un carro, i timoni
del qual traeva, con l'alie in sú vòlte,
un grifon d'oro, quanto uccel vedeasi,
l'altro di carne, alle cui rote accolte
da ogni parte una danza moveasi
di certe donne, e nel mezzo Beatrice
del tratto carro splendida sedeasi.
Da cosí alta vista e sí felice
percosso, da Virgilio con Istazio
esser lasciato lagrimando dice.
Appresso questo non per lungo spazio,
con agre riprension la donna il morde,
senza aver luogo a ricoprir mendazio;
per che le sue virtú quasi concorde
li venner meno, e cadde, né sentisse
pria ch'alle sue orecchi, ad altro sorde,
pervenne: - Tiemmi; - onde, anzi ch'egli uscisse, da una donna tratto per lo fiume, l'acqua convenne che egli inghiottisse.
Poi quattro donne, secondo il costume
di loro, il ricevettero, e menârlo
di Beatrice avanti al chiaro lume.
Qual gli paresse il suo viso, pensarlo
ciascun che 'ntende può; poi la virtute
gli mancò qui a poter divisarlo.
I casi avversi appresso, e la salute
della Chiesa di Dio, sotto figmento
delle future come delle sute
cose, disegna; poi il cominciamento
di Tigri e d'Eufrate vede in cima
del monte, e con Matelda va contento,
e con Istazio, ad Eunòe prima;
donde bagnato, e rimenato a quelle
donne beate, finisce la rima,
«puro
e disposto a salire alle stelle».
AL
PARADISO
«La gloria di Colui che tutto move»
in questa parte mostra l'autore
a suo poder, qual ei la vide e dove.
Ed invocato d'Apollo l'ardore,
di sé incerto, retro a Beatrice
pe' raggi sen salí del suo splendore
nel primo ciel, lá, onde a ciascun dice,
men sofficiente, che retro a sua barca
piú non si metta fra 'l regno felice.
E mentre avanti cantando travarca,
de' segni della luna fa quistione
alla sua guida, e quella se ne scarca.
Poi c'ha udita la sua opinione,
e, premettendo alcuna esperienza,
chiaro nel fa con aperta ragione,
Piccarda vede, e della sua essenza
nel primo cielo «per manco di voto»
con lei favella; e, della sua presenza
partita, Beatrice a lui divoto
qual vïolenza il voto manco faccia
distingue ed apre; e simil gli fa noto
perché gli paia i cieli aprir le braccia
a diversi diversi, e come siéno
però presenti alla divina faccia;
quindi, con viso ancora piú sereno,
se sodisfare a' voti permutando
si possa o no, a lui dichiara appieno;
e nel ciel di Mercurio ragionando
veloci passan. Lí Giustiniano
prima di sé sodisfá al dimando;
appresso, quanto lo 'mperio romano
sotto il segno dell'aquila facesse
gli mostra in parte, e poi a mano a mano,
parlando seco, volle ch'el sapesse
Romeo in quella luce gloriarsi,
che fe' quattro reine di contesse.
Induce poi Beatrice a dichiararsi,
«come giusta vendetta giustamente
fosse vengiata»; e quindi trasportarsi
nel terzo ciel, veggendo piú lucente
la donna sua, s'avvide. Ivi con Carlo
Martel favella, il quale apertamente
gli solve ciò che 'l mosse a dimandarlo,
come di dolce seme nasca amaro;
quindi Cunizza viene a visitarlo,
e del futuro alquanto gli fa chiaro
sovra i lombardi, e con Folco favella,
che gli mostra Raab. Indi montâro
nella spera del sole, onde una bella
danza di molti spiriti beati
vede far festa, e nel girarsi snella;
de' quai gli furon molti nominati
da Tommaso d'Aquin, che di Francesco
molto gli parla poi e dei suoi frati.
Poi scrive un cerchio sovraggiugner fresco
a questo, e 'n quel parlar Bonaventura
da Bagnoreo del calagoresco
Domenico, nel qual fu tanta cura
della fé nostra e dell'orto divino,
quanta mai fosse in altra creatura.
Poi rincomincia Tommaso d'Aquino
com'egli intenda: «Non surse il secondo»
di Salamone, e con chiaro latino
gliele dimostra, ed un lume giocondo
l'accerta lor, piú lieti e piú lucenti,
come i lor corpi riavran del mondo.
Quindi nel quinto ciel di lucolenti
spiriti vede una mirabil croce,
della quale un de' suoi primi parenti
gli fa carezze, e con soave voce
gli si discuopre, e mostra quale stato
Fiorenza avesse, quando nel feroce
e labil mondo fu da pria creato;
quindi le schiatte piú di nome degne
nomina tutte, da lui dimandato.
Poi gli fa chiare le parole pregne
di Farinata, e 'n purgatoro udite,
a lui mostrando del futuro insegne.
Appresso ancor con parole espedite
gli nomina di quei santi fulgori
Iosuè, Iuda, Carlo e piú, scolpite
da lui nel nominar per gli splendori
cresciuti. E quindi nel Giove sen sale,
dove un'aquila fanno i santi ardori
di sé mirabile e bella, la quale
gli solve il dubbio d'un che nato sia
su lito, senza udire o bene o male
di Dio, mostrando quel che di lui fia;
quindi Davit e Traiano e Rifeo
gli mostra, ed altri en la sua luce dia.
Poi 'l chiarisce d'un dubbio che si feo
in lui, de' due che appaion pagani
nel primo aspetto. Quindi uno scaleo,
salito nel Saturno, di sovrani
lumi ripien discerne, onde altro scende
ed altro sale, e con Pier Damiani
ragiona lí; e qual quivi risplende
gli parla e noma piú contemplativi
quel Benedetto onde Casin dipende.
Sal nell'ottavo del poscia di quivi,
e, nel segno de' Gemini venuto,
le sette spere ed i corpi passivi
si vede sotto i piè. Poi conosciuto
Cefas, sua fede e suo creder confessa,
da lui richesto, a lui tutto compiuto.
Con voce appresso lucolenta e spressa
al baron di Galizia la speranza
dice che è, e che spetta per essa;
indi venire a cosí alta danza
Giovanni mostra, il qual del corpo morto
di lui di terra il cava d'ogni erranza.
Poi seguitando, al suo domando accorto,
che cosa sia la caritá, risponde,
e qual da lei gli proceda conforto.
Appresso scrive come alle gioconde
luci s'aggiunse quel padre vetusto
che prima fu da Dio creato, e donde
tutti nascemmo, e per lo cui mal gusto
tutti moiamo: il qual del suo uscire
laonde posto fu, e quanto giusto
in quello stesse, e quanto il gran desire
di quella gloria avesse, e la dimora
quanto fu lunga qui dopo 'l fallire
gli conta, ed altre cose. Indi colora,
quasi infiammato, il vicaro di Dio
contr'a' pastor che ci governano ora.
Poi come nel ciel nono sen salío
discrive, dove l'angelica festa
in nove cerchi vede e 'l suo disio;
di lor natura lí gli manifesta
con sermon lungo assai mirabil cose,
e della turba che ne cadde mesta.
Poi vede le milizie gloriose
del nuovo e dell'antico Testamento,
che bene ovrando a Dio si fêro spose
nel ciel piú alto sovra il fermamento,
dove 'l solio d'Enrico ancor vacante
discerne. E quivi lui, che stava attento
a riguardar le creature sante,
lascia Beatrice, ed in loco di lei
Bernardo con lo sguardo il guida avante,
dove, poi c'ha orazione a lei,
cui seder vede dove la sortiro
gli merti suoi, gli è mostrata colei
che sposa antica fu del primo viro,
Rachel, Sara, Rebecca e 'l gran Giovanni,
che pria il deserto, e poi provò il martíro.
Appresso poi in piú sublimi scanni
Francesco ed Agostino e Benedetto,
e quei che trapassâr ne' teneri anni,
vede, de' quali il dottor sopra detto,
dico Bernardo, ragionando ad ello,
caccia ogni dubbio fuor del suo concetto.
Quindi il santo grazioso e bello
piú ch'altro di Maria gli mostra il viso,
e davanti da lei quel Gabriello
che 'l decreto recò di paradiso
della nostra salute, tanto lieto
che qui per non poter ben nol diviso:
onesto l'uno e l'altro e mansueto.
Adamo e Pietro e poi il vangelista
Giovanni lí seder vede, ripleto
d'alta letizia, e quindi il gran legista
Moisé vede, e poi Lucia ed Anna;
e punto fa alla gioiosa vista.
Appresso, acciò che la divina manna
discenda in lui, e faccial poderoso
a veder ciò per che ciascun s'affanna,
umile quanto può, nel grazioso
cospetto della Madre d'ogni grazia,
insieme col dottor di lei focoso
orando, priega che la vista sazia
del primo Amor gli sia, e per lo lume,
che senza fine profondo si spazia,
ficca degli occhi suoi il forte acume;
poi, disegnando quanto ne raccolse,
termine pone al suo alto volume,
mostrando come in quel tutto si volse
l'alto disio ed alle cose belle,
e come ogni altro appetito gli tolse
«l'Amor che muove il sole e l'altre stelle».