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martes, 25 de agosto de 2020

Paradiso, Canto II

CANTO II

[Canto secondo, ove tratta come Beatrice e l'auttore pervegnono al cielo de la Luna, aprendo la veritade de l'ombra ch'appare in essa; e qui comincia questa terza parte de la Commedia quanto al proprio dire.]

O voi che siete in piccioletta barca,

desiderosi d'ascoltar, seguiti

dietro al mio legno che cantando varca,

tornate a riveder li vostri liti:

non vi mettete in pelago, ché forse,

perdendo me, rimarreste smarriti.

L'acqua ch'io prendo già mai non si corse;

Minerva spira, e conducemi Appollo,

e nove Muse mi dimostran l'Orse.

Voialtri pochi che drizzaste il collo

per tempo al pan de li angeli, del quale

vivesi qui ma non sen vien satollo,

metter potete ben per l'alto sale

vostro navigio, servando mio solco

dinanzi a l'acqua che ritorna equale.

Que' glorïosi che passaro al Colco

non s'ammiraron come voi farete,

quando Iasón vider fatto bifolco.

La concreata e perpetüa sete

del deïforme regno cen portava

veloci quasi come 'l ciel vedete.

Beatrice in suso, e io in lei guardava;

e forse in tanto in quanto un quadrel posa

e vola e da la noce si dischiava,

giunto mi vidi ove mirabil cosa

mi torse il viso a sé; e però quella

cui non potea mia cura essere ascosa,

volta ver' me, sì lieta come bella,

«Drizza la mente in Dio grata», mi disse,

«che n'ha congiunti con la prima stella».

Parev' a me che nube ne coprisse

lucida, spessa, solida e pulita,

quasi adamante che lo sol ferisse.

Per entro sé l'etterna margarita

ne ricevette, com' acqua recepe

raggio di luce permanendo unita.

S'io era corpo, e qui non si concepe

com' una dimensione altra patio,

ch'esser convien se corpo in corpo repe,

accender ne dovria più il disio

di veder quella essenza in che si vede

come nostra natura e Dio s'unio.

Lì si vedrà ciò che tenem per fede,

non dimostrato, ma fia per sé noto

a guisa del ver primo che l'uom crede.

Io rispuosi: «Madonna, sì devoto

com' esser posso più, ringrazio lui

lo qual dal mortal mondo m'ha remoto.

Ma ditemi: che son li segni bui

di questo corpo, che là giuso in terra

fan di Cain favoleggiare altrui?».

Ella sorrise alquanto, e poi «S'elli erra

l'oppinïon», mi disse, «d'i mortali

dove chiave di senso non diserra,

certo non ti dovrien punger li strali

d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi

vedi che la ragione ha corte l'ali.

Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».

E io: «Ciò che n'appar qua sù diverso

credo che fanno i corpi rari e densi».

Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso

nel falso il creder tuo, se bene ascolti

l'argomentar ch'io li farò avverso.

La spera ottava vi dimostra molti

lumi, li quali e nel quale e nel quanto

notar si posson di diversi volti.

Se raro e denso ciò facesser tanto,

una sola virtù sarebbe in tutti,

più e men distributa e altrettanto.

Virtù diverse esser convegnon frutti

di princìpi formali, e quei, for ch'uno,

seguiterieno a tua ragion distrutti.

Ancor, se raro fosse di quel bruno

cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte

fora di sua materia sì digiuno

esto pianeto, o, sì come comparte

lo grasso e 'l magro un corpo, così questo

nel suo volume cangerebbe carte.

Se 'l primo fosse, fora manifesto

ne l'eclissi del sol, per trasparere

lo lume come in altro raro ingesto.

Questo non è: però è da vedere

de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi,

falsificato fia lo tuo parere.

S'elli è che questo raro non trapassi,

esser conviene un termine da onde

lo suo contrario più passar non lassi;

e indi l'altrui raggio si rifonde

così come color torna per vetro

lo qual di retro a sé piombo nasconde.

Or dirai tu ch'el si dimostra tetro

ivi lo raggio più che in altre parti,

per esser lì refratto più a retro.

Da questa instanza può deliberarti

esperïenza, se già mai la provi,

ch'esser suol fonte ai rivi di vostr' arti.

Tre specchi prenderai; e i due rimovi

da te d'un modo, e l'altro, più rimosso,

tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.

Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso

ti stea un lume che i tre specchi accenda

e torni a te da tutti ripercosso.

Ben che nel quanto tanto non si stenda

la vista più lontana, lì vedrai

come convien ch'igualmente risplenda.

Or, come ai colpi de li caldi rai

de la neve riman nudo il suggetto

e dal colore e dal freddo primai,

così rimaso te ne l'intelletto

voglio informar di luce sì vivace,

che ti tremolerà nel suo aspetto.

Dentro dal ciel de la divina pace

si gira un corpo ne la cui virtute

l'esser di tutto suo contento giace.

Lo ciel seguente, c'ha tante vedute,

quell' esser parte per diverse essenze,

da lui distratte e da lui contenute.

Li altri giron per varie differenze

le distinzion che dentro da sé hanno

dispongono a lor fini e lor semenze.

Questi organi del mondo così vanno,

come tu vedi omai, di grado in grado,

che di sù prendono e di sotto fanno.

Riguarda bene omai sì com' io vado

per questo loco al vero che disiri,

sì che poi sappi sol tener lo guado.

Lo moto e la virtù d'i santi giri,

come dal fabbro l'arte del martello,

da' beati motor convien che spiri;

e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello,

de la mente profonda che lui volve

prende l'image e fassene suggello.

E come l'alma dentro a vostra polve

per differenti membra e conformate

a diverse potenze si risolve,

così l'intelligenza sua bontate

multiplicata per le stelle spiega,

girando sé sovra sua unitate.

Virtù diversa fa diversa lega

col prezïoso corpo ch'ella avviva,

nel qual, sì come vita in voi, si lega.

Per la natura lieta onde deriva,

la virtù mista per lo corpo luce

come letizia per pupilla viva.

Da essa vien ciò che da luce a luce

par differente, non da denso e raro;

essa è formal principio che produce,

conforme a sua bontà, lo turbo e 'l chiaro».

lunes, 24 de agosto de 2020

Purgatorio, Canto XXVIII

CANTO XXVIII

[Canto XXVIII, ove si tratta come la vita attiva distingue a l'auttore la natura del fiume di Letè, il quale trovò nel detto Paradiso, ove molto dimostra de la felicitade e del peccato di Adamo, e del modo e ordine del detto luogo.]

Vago già di cercar dentro e dintorno

la divina foresta spessa e viva,

ch'a li occhi temperava il novo giorno,

sanza più aspettar, lasciai la riva,

prendendo la campagna lento lento

su per lo suol che d'ogne parte auliva.

Un'aura dolce, sanza mutamento

avere in sé, mi feria per la fronte

non di più colpo che soave vento;

per cui le fronde, tremolando, pronte

tutte quante piegavano a la parte

u' la prim' ombra gitta il santo monte;

non però dal loro esser dritto sparte

tanto, che li augelletti per le cime

lasciasser d'operare ogne lor arte;

ma con piena letizia l'ore prime,

cantando, ricevieno intra le foglie,

che tenevan bordone a le sue rime,

tal qual di ramo in ramo si raccoglie

per la pineta in su 'l lito di Chiassi,

quand' Ëolo scilocco fuor discioglie.

Già m'avean trasportato i lenti passi

dentro a la selva antica tanto, ch'io

non potea rivedere ond' io mi 'ntrassi;

ed ecco più andar mi tolse un rio,

che 'nver' sinistra con sue picciole onde

piegava l'erba che 'n sua ripa uscìo.

Tutte l'acque che son di qua più monde,

parrieno avere in sé mistura alcuna

verso di quella, che nulla nasconde,

avvegna che si mova bruna bruna

sotto l'ombra perpetüa, che mai

raggiar non lascia sole ivi né luna.

Coi piè ristetti e con li occhi passai

di là dal fiumicello, per mirare

la gran varïazion d'i freschi mai;

e là m'apparve, sì com' elli appare

subitamente cosa che disvia

per maraviglia tutto altro pensare,

una donna soletta che si gia

e cantando e scegliendo fior da fiore

ond' era pinta tutta la sua via.

«Deh, bella donna, che a' raggi d'amore

ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti

che soglion esser testimon del core,

vegnati in voglia di trarreti avanti»,

diss' io a lei, «verso questa rivera,

tanto ch'io possa intender che tu canti.

Tu mi fai rimembrar dove e qual era

Proserpina nel tempo che perdette

la madre lei, ed ella primavera».

Come si volge, con le piante strette

a terra e intra sé, donna che balli,

e piede innanzi piede a pena mette,

volsesi in su i vermigli e in su i gialli

fioretti verso me, non altrimenti

che vergine che li occhi onesti avvalli;

e fece i prieghi miei esser contenti,

sì appressando sé, che 'l dolce suono

veniva a me co' suoi intendimenti.

Tosto che fu là dove l'erbe sono

bagnate già da l'onde del bel fiume,

di levar li occhi suoi mi fece dono.

Non credo che splendesse tanto lume

sotto le ciglia a Venere, trafitta

dal figlio fuor di tutto suo costume.

Ella ridea da l'altra riva dritta,

trattando più color con le sue mani,

che l'alta terra sanza seme gitta.

Tre passi ci facea il fiume lontani;

ma Elesponto, là 've passò Serse,

ancora freno a tutti orgogli umani,

più odio da Leandro non sofferse

per mareggiare intra Sesto e Abido,

che quel da me perch' allor non s'aperse.

«Voi siete nuovi, e forse perch' io rido»,

cominciò ella, «in questo luogo eletto

a l'umana natura per suo nido,

maravigliando tienvi alcun sospetto;

ma luce rende il salmo Delectasti,

che puote disnebbiar vostro intelletto.

E tu che se' dinanzi e mi pregasti,

dì s'altro vuoli udir; ch'i' venni presta

ad ogne tua question tanto che basti».

«L'acqua», diss' io, «e 'l suon de la foresta

impugnan dentro a me novella fede

di cosa ch'io udi' contraria a questa».

Ond' ella: «Io dicerò come procede

per sua cagion ciò ch'ammirar ti face,

e purgherò la nebbia che ti fiede.

Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,

fé l'uom buono e a bene, e questo loco

diede per arr' a lui d'etterna pace.

Per sua difalta qui dimorò poco;

per sua difalta in pianto e in affanno

cambiò onesto riso e dolce gioco.

Perché 'l turbar che sotto da sé fanno

l'essalazion de l'acqua e de la terra,

che quanto posson dietro al calor vanno,

a l'uomo non facesse alcuna guerra,

questo monte salìo verso 'l ciel tanto,

e libero n'è d'indi ove si serra.

Or perché in circuito tutto quanto

l'aere si volge con la prima volta,

se non li è rotto il cerchio d'alcun canto,

in questa altezza ch'è tutta disciolta

ne l'aere vivo, tal moto percuote,

e fa sonar la selva perch' è folta;

e la percossa pianta tanto puote,

che de la sua virtute l'aura impregna

e quella poi, girando, intorno scuote;

e l'altra terra, secondo ch'è degna

per sé e per suo ciel, concepe e figlia

di diverse virtù diverse legna.

Non parrebbe di là poi maraviglia,

udito questo, quando alcuna pianta

sanza seme palese vi s'appiglia.

E saper dei che la campagna santa

dove tu se', d'ogne semenza è piena,

e frutto ha in sé che di là non si schianta.

L'acqua che vedi non surge di vena

che ristori vapor che gel converta,

come fiume ch'acquista e perde lena;

ma esce di fontana salda e certa,

che tanto dal voler di Dio riprende,

quant' ella versa da due parti aperta.

Da questa parte con virtù discende

che toglie altrui memoria del peccato;

da l'altra d'ogne ben fatto la rende.

Quinci Letè; così da l'altro lato

Eünoè si chiama, e non adopra

se quinci e quindi pria non è gustato:

a tutti altri sapori esto è di sopra.

E avvegna ch'assai possa esser sazia

la sete tua perch' io più non ti scuopra,

darotti un corollario ancor per grazia;

né credo che 'l mio dir ti sia men caro,

se oltre promession teco si spazia.

Quelli ch'anticamente poetaro

l'età de l'oro e suo stato felice,

forse in Parnaso esto loco sognaro.

Qui fu innocente l'umana radice;

qui primavera sempre e ogne frutto;

nettare è questo di che ciascun dice».

Io mi rivolsi 'n dietro allora tutto

a' miei poeti, e vidi che con riso

udito avëan l'ultimo costrutto;

poi a la bella donna torna' il viso.

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