sábado, 24 de octubre de 2020

RUBRICHE IN PROSA ALLA «DIVINA COMMEDIA»

RUBRICHE IN PROSA ALLA «DIVINA COMMEDIA»

INFERNO

Comincia la prima parte della Cantica, overo Comedia, chiamata Inferno, del chiarissimo poeta Dante Alighieri di Firenze, e di quella prima parte il canto primo. Nel quale l'autore mostra sé smarrito in una valle e impedito da tre bestie, e come Virgilio, apparitogli, se gli offerse per duca a trarlo di quel luogo, mostrandogli per qual via.

Comincia il canto secondo dello 'Nferno. Nel quale l'autore, fatta la sua invocazione, muove un dubbio a Virgilio della sua andata. Il quale Virgilio, mostrandogli chi 'l mosse, e come tre benedette curan di lui nel cielo, gliel solve, e rassicuralo, ed entrano in cammino.

Comincia il canto terzo dello 'Nferno. Nel quale l'autore mostra come in quello entrasse e vedesse i cattivi piagnendo correr forte, trafitti da vespe e da mosconi; e appresso come molte anime s'adunavano alla riva d'Acheronte, le quali tutte Caron passava, ma lui passar non volle.

Comincia il canto quarto dello 'Nferno. Nel quale l'autor mostra come si ritrovò nel primo cerchio di quello; e quivi scrive esser quegli che per difetto di battesimo son dannati, e dichiaragli Virgilio come giá n'avea veduti trarre alquanti. Poi, venuti loro incontro quattro poeti, con loro entrano in un castello, dove nobili uomini d'arme, filosofi e valorose donne vede.

Comincia il canto quinto dello 'Nferno. Nel quale l'autore, discendendo nel secondo cerchio, truova Minos, e appresso i peccatori carnali da aspro vento percossi; e quivi con madonna Francesca da Polenta parla, e ode come con Paolo de' Malatesti si congiugnesse per amore.

Comincia il canto sesto dello 'Nferno. Nel quale l'autor discende nel terzo cerchio, nel quale sotto grave pioggia son tormentati i gulosi. Quivi truova Cerbero, e parla con Ciacco, il quale gli predice certe cose future a' fiorentini divisi.

Comincia il canto settimo dello 'Nferno. Nel quale l'autore, scendendo nel giron quarto, truova Plutone, e vede i prodighi e gli avari incontro a sé volger grandissimi sassi; e Virgilio gli dimostra che cosa è la Fortuna; e quindi, scendendo nel giron quinto, vede la padule di Stige, e in quella ode esser tormentati gl'iracundi e gli accidiosi.

Comincia il canto ottavo dello 'Nferno. Nel quale l'autor mostra che, salito sopra la barca di Flegias, s'avventò alla banda di quella Filippo Argenti, e come, sospinto da Virgilio nell'acqua, fu straziato dagli altri spiriti; e appresso come, venuti alla porta di Dite, fu da' demòni serrata nel petto a Virgilio.

Comincia il canto nono dello 'Nferno. Nel quale, poi che Virgilio ha detto che altra volta fece quel cammino, gli mostra le tre Furie, e chiudegli gli occhi, accioché non vegga il Gorgone. E appresso scrive come messo di Dio fece aprir la porta, ed essi entraron dentro, e trovaro l'arche affocate degli eretici.

Comincia il canto decimo dello 'Nferno. Nel quale l'autor parla con Farinata, il quale alcuna cosa gli predice, e solvegli alcun dubbio.

Comincia il canto decimoprimo dello 'Nferno. Nel quale Virgilio mostra, dal luogo dove è in giú, lo 'nferno esser distinto in tre cerchi, e che gente si punisca in quegli, e assegna la ragione per che quegli, che lasciati hanno, non son nella cittá di Dite racchiusi.

Comincia il canto decimosecondo dello 'Nferno. Nel quale mostra l'autore come Virgilio facesse partire il minotauro, fattosi loro incontro, e rendegli la ragione d'una grotta caduta; e come truovano i centauri, e pervengono al fiume di Flegetone, nel quale vede bollire rubatori e tiranni; e poi Nesso il porta dall'altra parte.

Comincia il canto decimoterzo dello 'Nferno. Nel quale l'autore mostra esser puniti quegli che se medesimi uccidono, trasformati in bronchi, di ciò parlando con Piero dalle Vigne, e appresso coloro li quali giucarono e guastarono i lor beni, dicendo loro essere sbranati da cagne nere.

Comincia il canto decimoquarto dello 'Nferno. Nel quale l'autor mostra sé esser venuto sovra un sabbione ardente, sopra il qual piovono continue fiamme, e dove si puniscono quegli che violentamente hanno adoperato incontro a Dio e contro alla natura, e avanti agli altri vede punir Campaneo. Poi gli dimostra Virgilio come d'una statua di diversi metalli si creano tutti i fiumi dello 'nferno.

Comincia il canto decimoquinto dello 'Nferno. Nel quale l'autore discrive il tormento de' sogdomiti, e truova ser Brunetto Latino, il quale gli predice alcuna cosa della sua futura vita.

Comincia il canto decimosesto dello 'Nferno. Nel quale l'autor parla, in quel medesimo luogo che di sopra, con tre spiriti; poi, data una corda a Virgilio, mostra come egli, con quella pescando, facesse venir fuor Gerione.

Comincia il canto decimosettimo dello 'Nferno. Nel quale l'autore discrive la forma della fraude e il tormento degli usurieri, e come, saliti sovra Gerione, passarono il fiume.

Comincia il canto decimottavo dello 'Nferno. Nel quale l'autore prima discrive come sia fatto Malebolge; e appresso mostra come i ruffiani siano con iscuriate battuti da demòni; e ultimamente come i lusinghieri piangano in uno sterco.

Comincia il canto decimonono dello 'Nferno. Nel quale l'autore, disceso nella terza bolgia, dimostra qual sia il tormento de' simoniaci, e parla con papa Niccola, il quale gli predice d'alcun papa futuro simoniaco; e quindi esclama l'autore contro al detto papa.

Comincia il canto vigesimo dello 'Nferno. Nel quale l'autore discende nella quarta bolgia, nella qual truova coloro li quali vollero antivedere, fatturieri e maliosi, tutti travolti; e alcuna cosa parla della origine di Mantova.

Comincia il canto vigesimoprimo dello 'Nferno. Nel quale l'autore, venuto nella quinta bolgia, mostra come in una bogliente pegola si puniscano i barattieri e come in quella è gittato un lucchese; e come, volendo andare avanti, son dati loro dieci diavoli in compagnia.

Comincia il canto vigesimosecondo dello 'Nferno. Nel quale l'autor discrive come i dimòni presero con gli uncini un navarrese, il quale, alcune cose raccontate, subito si gittò nella pegola; per lo qual ripigliare i demòni, volando sopra la pece, s'impegolarono.

Comincia il canto vigesimoterzo dello 'Nferno. Nel quale l'autore scrive come, temendo de' dimòni, li quali impacciati avean lasciati, Virgilio il ne portò nella sesta bolgia, dove trovarono gl'ipocriti, vestiti di cappe rance.


Comincia il canto vigesimoquarto dello 'Nferno. Nel quale l'autore mostra come trapassasse nella settima bolgia, nella quale trova i ladroni, tormentati variamente da serpi, tra' quali primieramente truova Vanni Fucci, il quale alcuna cosa gli predice.

Comincia il canto vigesimoquinto dello 'Nferno. Nel quale l'autore nella sopradetta bolgia mostra come, veduto Caco, vide certi fiorentini trasformarsi maravigliosamente in diverse forme.

Comincia il canto vigesimosesto dello 'Nferno. Nel quale mostra l'autore come pervenne all'ottava bolgia, nella qual dice esser puniti i frodolenti consiglieri in fiamme di fuoco; e quivi ode da Ulisse il fine suo.

Comincia il canto vigesimosettimo dello 'Nferno. Nel quale l'autore nella sopradetta bolgia discrive aver trovato il conte Guido da Monte Feltro, a cui racconta lo stato di Romagna, e ode le colpe sue.

Comincia il canto vigesimottavo dello 'Nferno. Nel quale l'autore dimostra nella nona bolgia con l'esser tutti tagliati punirsi i scismatici; e quivi, riconosciutine molti, parla con Beltram dal Bornio, e con certi altri.

Comincia il canto vigesimonono dello 'Nferno. Nel quale l'autore, disceso nella decima bolgia, mostra primieramente come in quella, essendo maculati di rogna e di scabbia, si puniscano gli alchimisti; e quivi parla con Capocchio d'Arezzo; poi, piú avanti, mostra con altre pene punirsi ogni falsario.

Comincia il canto trigesimo dello 'Nferno. Nel quale l'autore, continuando nella predetta bolgia, ne nomina alquanti, e tra gli altri maestro Adamo, discrivendo la riotta stata tra 'l maestro Adamo e Simon greco in sua presenza.

Comincia il canto trigesimoprimo dello 'Nferno. Nel quale l'autore dimostra sé esser pervenuto al pozzo dello abisso, e quello essere intorniato di giganti, e sé con Virgilio essere da Anteo disposti nel nono ed ultimo cerchio dello 'nferno.

Comincia il canto trigesimosecondo dello 'Nferno. Nel quale l'autore, andando per la Caina, dove nel ghiaccio si puniscono coloro che tradiscono i fratelli e' congiunti, parlando con Camiscion de' Pazzi, n'ode piú nominare. E poi, procedendo nell'Antenora, dove in simil pena si puniscon coloro che tradiscon le lor cittá, truova Bocca degli Abati, il quale piú altri gli nomina dannati in quel luogo; e ultimamente vede il conte Ugolino rodere la testa di dietro all'arcivescovo Ruggieri.

Comincia il canto trigesimoterzo dello 'Nferno. Nel quale l'autore, udita la ragione e 'l modo della morte del conte Ugolino, procedendo nella Ptolomea, truova frate Alberigo, il quale gli dice quivi cader l'anime, parendo qua sú ancora il corpo vivo.

Comincia il canto trigesimoquarto dello 'Nferno. Nel quale l'autore passa nella Giudeca, e vede il Lucifero e Giuda Scariotto e altri spiriti; e quindi, appigliatosi Virgilio a' velli del Lucifero, si cala e esce dello 'nferno; e, per luoghi vacui procedendo, perviene a riveder le stelle.

Qui finisce la prima parte della Cantica, over Comedia, di Dante Alighieri, chiamata Inferno.


PURGATORIO

Comincia la seconda parte della Cantica, overo Comedia, chiamata Purgatorio, del chiarissimo poeta Dante Alighieri di Firenze. E di quella seconda parte comincia il canto primo. Nel quale l'autore, fatta la sua invocazione, discrive sotto qual parte del cielo sia la regione dove arrivò; e quindi, trovato Catone uticense e il suo cammin dimostratogli, ne va alla marina, dove Virgilio, secondo il comandamento di Catone, gli lava il viso e cignelo d'un giunco.

Comincia il canto secondo del Purgatoro. Nel quale l'autore mostra come, essendo alla marina piú spiriti arrivati e smontati in terra, tra essi riconobbe il Casella, ottimo cantatore, al canto del quale mentre essi stavano tutti attenti, sopra venne Catone, dal quale ripresi, tutti verso il monte cominciarono a fuggire.

Comincia il canto terzo del Purgatoro. Nel quale Virgilio mostra perché egli come Dante non faccia ombra. Appresso, al cominciar dell'erta, truovano il re Manfredi con piú altri, della porta del purgatoro schiusi a tempo, percioché morirono scomunicati.

Comincia il canto quarto del Purgatoro. Nel quale Virgilio mostra la ragione all'autore, per che quivi dal sole sieno feriti in su l'ómero destro. Poi truova Belacqua con quegli che in sin lo stremo indugiaron la penitenza.

Comincia il canto quinto del Purgatoro. Nel quale l'autor mostra aver trovato Bonconte di Monte Feltro e altri assai, stati per forza uccisi e indugiatisi ad pentere in fino a l'ultima ora.

Comincia il canto sesto del Purgatoro. Nel qual Virgilio solve a l'autore un dubbio mossogli del pregare che gli spiriti faceano che per lor si pregasse. Poi truovan Sordello da Mantova, e appresso l'autore parla contro ad Italia; e ultimamente contro a Fiorenza.

Comincia il canto settimo del Purgatoro. Nel quale l'autor mostra come, poi s'ebber fatta festa insieme Virgilio e Sordello, che Sordello gli menasse in un grembo del monte, dove vide Ridolfo imperadore e piú altri magnifichi spiriti.

Comincia il canto ottavo del Purgatoro. Nel quale l'autor mostra come due angeli discesero da cielo a guardia del luogo dove erano; e appresso come truova giudice Nino e Currado marchese Malespina, con li quali alquanto parla.

Comincia il canto nono del Purgatoro. Nel quale l'autor dimostra come, adormentatosi, gli parve da una aquila esser portato infino al fuoco; per che destatosi, si trovò presso alla porta del purgatoro, dove, secondo che Virgilio gli dice, l'avea portato una donna. E quindi dice sé essere andato alla detta porta, la quale discrive come fatta sia, e similmente uno angelo che sopra quella stava, e come gli scrivesse sette P nella fronte e dentro il mettesse.

Comincia il canto decimo del Purgatoro. Nel quale l'autore dimostra che, entrato dentro a quello, vedesse intagliate nella ripa del monte certe istorie d'umiltá, e poi vedesse anime chinate sotto gravi pesi andare dintorno.

Comincia il canto decimoprimo del Purgatoro. Nel quale l'autor mostra come, trovati spiriti che sotto gravi pesi purgavano il peccato della superbia, parla con Uberto Aldobrandesco e con Odorigi da Gobbio; e alquanto grida contro alla vanagloria umana.

Comincia il canto decimosecondo del Purgatoro. Nel quale l'autore dimostra l'abbattimento di molti superbi essergli apparito scolpito nel pavimento; e appresso, invitati a salire nel secondo girone da uno angelo, gli è uno de' sette P levato dalla fronte.

Comincia il canto decimoterzo del Purgatoro. Nel quale l'autore, venuto nel secondo girone dove si purga il peccato della 'nvidia, ode certe voci, mosse da caritá; poi truova spiriti a sedere, vestiti tutti di ciliccio e con gli occhi cigliati, tra' quali Sapia gli favella.

Comincia il canto decimoquarto del Purgatoro. Nel quale l'autore nel predetto girone parla con Guido del Duca, il quale, abbominata la valle d'Arno, predice alcune cose del nepote di Rinier da Calvoli; e poi si duole di piú valenti uomini romagnuoli, venuti meno; poi ode voci in detestazion della 'nvidia.

Comincia il canto decimoquinto del Purgatoro. Nel quale l'autor mostra come, invitati da uno agnolo a salir nel terzo girone, Virgilio gli solve un dubbio, natogli per parole di Guido del Duca; poi mostra sé avere per vision vedute certe cose dimostranti mansuetudine, e, nel giron pervenuti, dice cominciarsi lor sopra un gran fummo.

Comincia il canto decimosesto del Purgatoro. Nel quale l'autor mostra come, entrato nel fummo del terzo girone, dove si purga il peccato dell'ira, truova Marco Lombardo, il quale ragiona con lui del mondo ch'è guasto e della cagione.

Comincia il canto decimosettimo del Purgatoro. Nel quale l'autor mostra come, vedute certe cose in visione, le quali sono in detestazion dell'ira, Virgilio gli aperse che cosa è amore e di quante spezie, essendo essi pervenuti nel quarto girone, dove si purga l'amore del bene scemo.

Comincia il canto decimottavo del Purgatoro. Nel quale l'autore mostra ancora come amore in noi si crea. E appresso ode cose ad incitare la sollecitudine; e poi parla con l'abate di San Zeno da Verona, e ultimamente ode cose in vitupèro della pigrizia.

Comincia il canto decimonono del Purgatoro. Nel quale l'autore discrive una vision d'una femina contrafatta, veduta da lui; e appresso come perviene nel quinto girone, ove si purga il peccato dell'avarizia; e quivi truova peccatori a giacere vòlti in giú e legati, e parla con un papa di que' dal Fiesco.

Comincia il canto vigesimo del Purgatoro. Nel quale l'autore mostra d'aver parlato tra gli avari con Ugo Ciappetta, il quale gli dice come di lui son discesi li presenti reali di Francia, e, oltre a ciò, alcune vituperevoli opere fatte e che far debbono, e, oltre a ciò, gli mostra come il dí cantano laudevoli cose della povertá, e la notte vituperevoli dell'avarizia; e ultimamente come sentí tutto tremare il monte.

Comincia il canto vigesimoprimo del Purgatoro. Nel quale l'autor mostra come Stazio, apparito tra loro, dice la cagion del tremar del monte, e poi se medesimo manifesta, e conosce Virgilio.

Comincia il canto vigesimosecondo del Purgatoro. Nel quale l'autore mostra come, venuti nel sesto girone, e andando Virgilio e Stazio ragionando di varie cose, trovarono uno albero nella strada, del quale sentîro certe voci venire verso loro, le quali sonavano in laude della sobrietá.

Comincia il canto vigesimoterzo del Purgatoro. Nel quale l'autore mostra purgarsi il vizio della gola; e, trovato Forese Donati, ode da lui certe cose, e, tra l'altre, alcune cose future, contra la disonestá delle donne fiorentine.

Comincia il canto vigesimoquarto del Purgatoro. Nel quale l'autore, continuando il suo ragionar con Forese, ode nominare piú altri spiriti che quivi erano, tra' quali Bonagiunta Orbicciani gli predice lui doversi innamorare in Lucca, e similmente Forese il disfacimento d'alcun fiorentino. Poi truova un altro albero, e ode cose in vitupèro della gola, e da uno agnolo sono inviati al girone superiore.

Comincia il canto vigesimoquinto del Purgatoro. Nel quale l'autore scrive come Stazio, per dichiarargli come si dimagri dove non è uopo di nudrimento, gli disegna come generati siamo, e come dopo la morte i nostri spiriti piglin corpo dell'aere. E appresso dice l'autore come nel settimo giron pervennero, nel quale in fiamme dice si purga il peccato della lussuria.

Comincia il canto vigesimosesto del Purgatoro. Nel quale l'autore mostra nelle fiamme aver piú spiriti veduti, e tra gli altri riconosciuto Guido Guinizelli e Arnaldo, e parlato con loro.

Comincia il canto vigesimosettimo del Purgatoro. Nel quale l'autor mostra come, passato un fuoco, e veduta la notte una visione, pervenne in su la sommitá del monte, dove Virgilio in suo arbitrio rimise che quel facesse che piú gli aggradisse.

Comincia il canto vigesimottavo del Purgatoro. Nel quale l'autore mostra come, pervenuto nel paradiso delle delizie, truova il fiume di Letè; e, parlando con una donna che da l'altra parte del fiume gli apparve, ode da lei la cagione che fa muovere le frondi degli alberi di quel luogo; e mostragli l'origine di Letè e d'Eunoè.

Comincia il canto vigesimonono del Purgatoro. Nel quale l'autor disegna come venir vedesse il celestial triunfo.

Comincia il canto trigesimo del Purgatoro. Nel quale l'autore dimostra come Beatrice sopra il triunfal carro gli apparí, e come, essendo Virgilio partito, ella il chiamò per nome e gravemente il riprese, mostrando poi alle sante creature, che dintorno al carro erano, perché degno era di riprensione.

Comincia il canto trigesimoprimo del Purgatoro. Nel quale l'autore distesamente discrive la grave riprension fattagli da Beatrice, e il dolore che per quella sentí; e appresso come, fuor di sé essendo e risentendosi, si trovò tirato dalla donna, che prima trovata avea, nel fiume, e in quello da lei tuffato; e avendo dell'acqua bevuta, fu dalle quattro donne presentato a Beatrice, e come lei, levato dal viso il velo, apertamente vide.

Comincia il canto trigesimosecondo del Purgatoro. Nel quale l'autore discrive come il triunfo celeste si volse a tornare indietro, e come, ad un albero senza foglie smontata Beatrice del carro, esso vi fu legato dal grifone; e appresso come s'addormentò, e, svegliato, vide il grifone esser partito e Beatrice rimasa, la quale gli fa rimirare il carro, sopra 'l quale per figura vede certe cose alla Chiesa di Dio avvenute e che doveano avvenire.

Comincia il canto trigesimoterzo del Purgatoro. Nel quale l'autore significa certe cose future a lui da Beatrice predette, e come, da Matelda bagnato in Eunoè, puro tornò a Beatrice.

Qui finisce la seconda parte della Cantica, overo Commedia, di Dante Alighieri, chiamata Purgatoro.

PARADISO

Comincia la terza parte della Cantica, overo Comedia, chiamata Paradiso, del chiarissimo poeta Dante Alighieri di Firenze. E di questa terza parte comincia il canto primo. Nel quale l'autore, poi che dimostrato ha sommariamente quello che in essa intende di trattare e fatta la sua invocazione, discrive come appresso a Beatrice se ne salisse nel primo cielo, e come ella gli solvesse un dubbio per lo suo veloce montare venutogli.

Comincia il canto secondo del Paradiso. Nel quale l'autore, poi che a quegli che meno sofficienti sono alla presente considerazione ha detto che si rimangano, dimostra la cagione de' segni bui, li quali nel corpo della luna veggiamo.

Comincia il canto terzo del Paradiso. Nel quale l'autore parla con madonna Piccarda; e ella gli solve un dubbio, mostrandogli ciascuna anima esser contenta nel luogo dove posta è in paradiso; e poi gli mostra Costanza imperadrice.

Comincia il canto quarto del Paradiso. Nel quale Beatrice solve il dubbio della doppia volontá e del tornar dell'anime alle stelle.

Comincia il canto quinto del Paradiso. Nel quale Beatrice dichiara all'autore se per alcuna permutazione si può adempiere il boto fatto. E quindi, saliti nel secondo cielo, vede l'autore molti spiriti gloriosi, de' quali uno, offertoglisi, domanda chi el sia.

Comincia il canto sesto del Paradiso. Nel quale Giustiniano imperadore se medesimo manifesta all'autore, mostrando appresso molte cose magnifiche fatte sotto il segno dell'aquila, e quanto falli chi quello senza giustizia s'apropri; e ultimamente dice quivi esser l'anima di Romeo.

Comincia il canto settimo del Paradiso. Nel quale Beatrice chiarisce all'autore come giusta vendetta fosse giustamente vengiata; e appresso perché a Dio, a rilevare l'umana generazione dalla colpa del primo padre, piacque piú di dare se medesimo che altro modo; e ultimamente perché gli elementi sieno corruttibili.

Comincia il canto ottavo del Paradiso. Nel quale l'autor mostra come salisser nel terzo cielo; e quivi parla con Carlo Martello, il quale gli dichiara come di dolce seme possa nascere amaro frutto.

Comincia il canto nono del Paradiso. Nel quale l'autor discrive come madonna Cuniza alcune cose gli predice contra i lombardi, e appresso Folco contro a' pastori della Chiesa.

Comincia il canto decimo del Paradiso. Nel quale l'autor discrive come nel cielo del sole pervenissero, dove gli parla Tommaso d'Aquino, e nominagli piú altri spiriti, li quali tutti furon gran letterati; e tra gli altri gli nomina Alberto di Cologna, Salomone e Boezio.

Comincia il canto decimoprimo del Paradiso. Nel quale Tommaso d'Aquino mirabilmente commendando onora san Francesco.

Comincia il canto decimosecondo del Paradiso. Nel quale Bonaventura da Bagnorea mirabilmente parla di san Domenico, e nomina piú altri beati spiriti, li quali quivi dice gloriarsi.

Comincia il canto decimoterzo del Paradiso. Nel quale l'autore mostra come san Tommaso d'Aquino gli chiarisse quello che di Salamon detto avea: «non surse il secondo».

Comincia il canto decimoquarto del Paradiso. Nel quale primieramente l'autore mostra come chiarito fosse come, dopo la universal resurrezione, i santi avranno quello medesimo splendore che al presente hanno, e forza visiva a riguardarlo; e appresso come, nel quinto cielo salito, vide in quello una croce, e in quella lampeggiar Cristo.

Comincia il canto decimoquinto del Paradiso. Nel quale l'autore mostra come con festa ricevuto fosse da messer Cacciaguida, suo antico, e come da lui udisse certe cose degli antichi costumi fiorentini, e dove e a che tempo nascesse, e dove abitasse, e poi morisse.

Comincia il canto decimosesto del Paradiso. Nel quale messer Cacciaguida mostra all'autore quali fossero le piú notabili famiglie di Firenze al suo tempo.

Comincia il canto decimosettimo del Paradiso. Nel quale messer Cacciaguida, domandato, predice all'autore il suo futuro esilio, e che per quello gli debba seguire; e confortalo a scrivere le cose vedute e udite, a cui che elle si debbano parer gravi.

Comincia il canto decimottavo del Paradiso. Nel quale messer Cacciaguida nomina piú famosi spiriti che in quello cielo son gloriosi. E appresso l'autore, mostrato come nel sesto cielo salito sia, discrive molti santi spiriti ne' loro movimenti fare diverse figure di lettere, e quelle finire in una M, e di quella farsi una aquila.

Comincia il canto decimonono del Paradiso. Nel quale mostra l'autor dalla sopradetta aquila essergli dichiarato quello che creder [si de'] d'uno non battezzato e che mai di Cristo alcuna cosa non udí ragionare, ma per ogni altra cosa è buono; e ultimamente quello che contro a piú cristiani dicesse la predetta aquila.

Comincia il canto vigesimo del Paradiso. Nel quale l'autor discrive come la detta aquila gli nominò alquanti degli spiriti che in essa erano gloriosi; e appresso gli mostrò come Traiano imperadore e Rifeo troiano, li quali da lei erano stati nominati, non moriron pagani come esso stimava.

Comincia il canto vigesimoprimo del Paradiso. Nel quale l'autor dimostra come, pervenuto nel settimo cielo, vide una scala altissima, per la quale salivano e scendevano molti spiriti; de' quali venne a lui Pietro Dammiano, il quale, ad alcuna sua domanda avendo risposto, alcune cose dice contro a' pastori della Chiesa.

Comincia il canto vigesimosecondo del Paradiso. Nel quale l'autore narra come parlò con san Benedetto, il quale piú altri santi spiriti contemplativi gli nominò, e piú cose gli disse in vitupèro de' presenti religiosi; poi dietro a lui su per la scala se ne salí nell'ottavo cielo; e quindi vòlto in giú, discrive quali vedesse la terra e tutti gli altri cieli.

Comincia il canto vigesimoterzo del Paradiso. Nel quale l'autore discrive come la celeste milizia mirabil festa facesse dintorno alla Vergine Maria.

Comincia il canto vigesimoquarto del Paradiso. Nel quale l'autore, con san Pietro parlando, mostra quello che è fede e quello ch'e' crede.

Comincia il canto vigesimoquinto del Paradiso. Nel quale l'autore scrive come, da sa' Iacopo apostolo domandato, dice che cosa è speranza; e appresso come, essendo sopravenuto san Giovanni evangelista, ode da lui non essere in cielo alcuno altro col proprio corpo che Cristo e la madre.

Comincia il canto vigesimosesto del Paradiso. Nel quale l'autore, a domanda di san Giovanni evangelista, dice che cosa è caritá; e appresso come, con Adam parlando, da lui ode quando creato fosse, quanto vivesse, e dove.

Comincia il canto vigesimosettimo del Paradiso. Nel quale l'autore primieramente racconta parole dette da san Piero contro alli moderni pastori; e appresso discrive come pervenisse nel nono cielo.

Comincia il canto vigesimottavo del Paradiso. Nel quale l'autore discrive la gloriosa festa de' nove cori degli angeli.

Comincia il canto vigesimonono del Paradiso. Nel quale Beatrice dimostra all'autore l'ordine della creazione delle cose; e appresso ragiona della natura angelica; e ultimamente parla contro alla vanitá d'assai moderni predicatori.

Comincia il canto trigesimo del Paradiso. Nel quale l'autore scrive sé esser salito nel decimo cielo; dove prima in forma d'un fiume, poi in forma d'una rosa, vede la celeste corte, e in quella la sedia d'Arrigo imperadore; del quale e di Clemente papa Beatrice alcuna cosa gli predice.

Comincia il canto trigesimoprimo del Paradiso. Nel quale l'autore dice come, in luogo di Beatrice, trovò san Bernardo, il quale gli mostrò lei sedere nel luogo a' suoi meriti sortito; ed egli le fece orazione; poi, dicendogliel san Bernardo, volse gli occhi alla letizia de' gloriosi.

Comincia il canto trigesimosecondo del Paradiso. Nel quale l'autor narra come san Bernardo gli mostrasse la Vergine Maria e Eva e nominatamente piú altri santi uomini e donne, e la letizia dell'agnolo Gabriello, e poi lui ad orare con seco, per grazia impetrar, disponesse.

Comincia il canto trigesimoterzo del Paradiso. Nel quale discrive l'autore l'orazione fatta da san Bernardo, e come con lo sguardo penetrasse alla divina essenzia; e fa fine.

Qui finisce la terza e ultima parte della Cantica, overo Commedia, di Dante Alighieri, chiamata Paradiso.

ARGOMENTI IN TERZA RIMA ALLA "DIVINA COMMEDIA" DI DANTE ALIGHIERI.

ARGOMENTI IN TERZA RIMA ALLA "DIVINA COMMEDIA" DI DANTE ALIGHIERI.

ALL'INFERNO

«Nel mezzo del cammin di nostra vita»,

smarrito in una valle l'autore,

e la sua via da tre bestie impedita,

Virgilio, dei latin poeti onore,

da Beatrice gli apparve mandato

liberator del periglioso errore.

Dal qual poi che aperto fu mostrato

a lui di sua venuta la cagione,

e 'l tramortito spirto suscitato,

senza piú far del suo andar quistione,

dietro gli va, ed entra in una porta

ampia e spedita a tututte persone.

Adunque, entrati nell'aura morta,

l'anime triste vider di coloro

che senza fama usâr la vita corta;

io dico de' cattivi: eran costoro

da moscon punti, e senza alcuna posa

correndo givan, con pianto sonoro.

Quindi, venuti sopra la limosa

riva d'un fiume, vide anime assai,

ciascuna di passar volenterosa.

A cui Caròn: - Per qui non passerai! -

di lontan grida; appresso, un gran baleno

gli toglie il viso e l'ascoltar de' guai.

Dal qual tornato in sé, di stupor pieno,

di lá da l'acqua in piú cocente affanno,

non per la via che l'anime teniéno,

si ritrovò; e quindi avanti vanno,

e pargoletti veggon senza luce

pianger, per l'altrui colpa, eterno danno.

Dietro alle piante poi del savio duce

passa con altri quattro in un castello,

dove alcun raggio di chiarezza luce.

Quivi vede seder sovr'un pratello

spiriti d'alta fama, senza pene,

fuor che d'alti sospiri, al parer d'ello.

Da questo loco discendendo, viene

dove Minós esamina gli entranti,

fier quanto a tanto officio si conviene.

Quivi le strida sente e gli alti pianti

di quei che furon peccator carnali,

infestati da venti aspri e sonanti,

dove Francesca e Polo li lor mali

contano. E quindi Cerbero latrante

vede sopra a' gulosi, infra li quali

Ciacco conosce; e, procedendo avante,

truova Plutone, e' prodighi e gli avari

vede giostrar con misero sembiante.

Che sia Fortuna e la cagion de' vari

suoi movimenti Virgilio gli schiude:

e, discendendo poi con passi rari,

truovan di Stige la nera palude,

la qual risurger vede di bollori,

da' sospir mossi d'alme in essa nude,

dove gli accidiosi peccatori,

e gl'iracundi, gorgogliando in quella,

fanno sentir li lor grevi dolori.

Sopra una fiamma poi doppia fiammella

subito vede, ed una di lontano

surgere ancora e rispondere ad ella.

Quivi Flegias, adirato, il pantano

oltre gli passa, nel qual vede strazio

far di Filippo Argenti, e non invano.

E appena era di tal mirare sazio,

ch'a piè della cittá di Dite giunti,

senza esser lor d'entrarvi dato spazio,

si vide, e quindi da disdegno punti

per la porta serrata lor nel petto

da li spiriti piú da Dio disiunti.

E mentre quivi stavan con sospetto,

le tre Furie infernai sovra le mura

Tesifon, vider, Megera ed Aletto.

Appresso, acciò che l'orribil figura

del Gorgon non vedesse, il buon maestro

gli occhi gli chiuse, e fennegli paura.

Di scender poi per lo cammin silvestro,

per cui la porta subito s'aprío,

mostra, e 'l passare a loro in quella, destro.

Quivi dolenti strida ed alte udio,

che de' sepolcri uscivano affocati,

de' quai pieno era tutto il loco rio:

in quegli essere intese i trascutati

eresiarci, e tutti quelli ancora

ch'a Epicuro dietro sono andati.

Lí, ragionando, picciola dimora

con Farinata e con un altro face,

ch'alquanto a l'arca pareva di fora.

Disegna poi come lo 'nferno giace,

da indi in giú, distinto in tre cerchietti,

e poi dimostra con ragion vivace

perché dentro alle mura i maladetti

spiriti sien di Dite, e nel suo cerchio,

piú che color che ha di sopra detti.

Centauri truova poi sovr'al coperchio

d'un'altra valle sovra Flegetonte,

nel qual chi fe' al prossimo soverchio

bollir vede per tutto; e perché cónte

le vie salvagge, a passar la riviera

Nesso gli fa della sua groppa ponte.

Oltre passati, in una selva fiera

di spirti, in bronchi noderosi e torti

mutati, entraron per via straniera.

Tutti se stessi i miseri avien morti,

che li piangean, divenuti bronconi;

dove gli fe' Pier delle Vigne accorti

delle dolenti lor condizioni

e delle sue; e nella selva stessa,

dopo gli uditi miseri sermoni,

da nere cagne un'anima rimessa

vide sbranare, e seppe a tal martiro

dannato chi la sustanzia, commessa

all'util suo, biscazza. E quindi gîro

piú giú, dove piovean fiamme di foco,

fuor della selva, sovra un sabbion diro;

lá dove Campaneo, curante poco,

vider giacer sotto la pioggia grave

con piú molti arroganti; e 'n questo loco,

seguendo, mostra con rima soave

d'una statua, ch'è di piú metalli,

l'acqua cadere in quelle valli prave,

e quattro fiumi per piú intervalli

nel mondo occulto fare, infino al punto

piú basso assai che tutte l'altre valli.

Poi ser Brunetto abbrusciato e consunto

sotto l'orribil pioggia correr vede,

col quale alquanto, parlando, congiunto,

di sua futura vita prende fede.

Poi, Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi,

Iacopo Rusticucci, infino al piede

di lui venuti, a' lor nuovi dimandi

sodisfa presto; e quinci procedette

dove anime trovò con tasche grandi

sedere a collo, sotto le fiammette,

di loro alcuni a l'arme conoscendo

stati usurieri, e per tre render sette.

Poi, sovra Gerion giú discendendo,

in Malebolge vene, ove i baratti

in diece vede, senza pro piangendo.

De' quali i primi da dimòn son tratti

con grandi scoreggiate per lo fondo,

scherniti e lassi, vilmente disfatti;

lá dove alcun ch'avea veduto al mondo

riconobbe, ch'era bolognese, Venedico, e ruffiano; a cui secondo

Iason venia, che tolse il ricco arnese

a' colchi. E quindi Alesso Interminelli

in uno sterco vide assai palese

pianger le sue lusinghe; e quindi quelli

che sottosopra in terra son commessi

per simonia; e lí par che favelli

con un papa Nicola; ed, oltre ad essi,

travolti vede quei che con fatture

gabbarono non ch'altrui, ma se istessi.

Quindi discendon lá ove l'oscure

pegole bollon chi baratteria

vivendo fece, e di quelle misture,

mentre che van con fiera compagnia

di diece diavol, parla un che fu tratto

da Graffiacan per la cottola via,

sé navarrese dicendo e baratto;

quinci com'el fuggi delle lor mani

racconta chiaro, e de' diavoli il fatto.

Sotto le cappe rance i pianti vani

degl'ipocriti poi racconta, e mostra

Anna e 'l suo suocer nelli luoghi strani

crocifissi giacer. Poi, nella chiostra

di Malebolge seguente, brogliare

fra' serpi vede della gente nostra,

quivi dannati per lo lor furare:

Agnolo e 'l Cianfa ed altri e Vanni Fucci;

li quai mirabilmente trasformare,

dopo nuovi atti, parlamenti e crucci,

e d'uomo in serpe, e poi di serpe in uomo,

in guisa tal, che mai vista non fucci,

discrive. E poi chi mal consiglio, comoda,
come Ulisse, in fiamme acceso andando,

vede riprender dattero per pomo.

Pria con Ulisse, e poscia ragionando

col conte Guido, passa; e, pervenuto

su l'altra bolgia, vede gente andando

tutta tagliata sovente e minuto,

per lo peccato della scisma reo

da lor nel mondo falso in suso avuto.

Lí Maometto fesso discernéo,

e quel Beltram che giá tenne Altaforte,

e Curio e 'l Mosca, e molti qual potéo.

Appresso vide piú misera sorte

degli alchimisti fracidi e rognosi,

u' seppe da Capocchio l'agra morte,

e Mirra e Gianni Schicchi e piú lebbrosi

vide, ed i falsator per fiera sete

ritruopichi fumare stando oziosi:

tra' quali in quella inestricabil rete

vide Sinón, ed il maestro Adamo

garrir con lui, come lègger potete.

Quindi, lasciando l'uno e l'altro gramo,

dal mezzo in su gli figli della terra

uscir d'un pozzo vede, ed al richiamo

del gran poeta intramendue gli afferra

Anteo, e lor sovr'al freddo Cocito

posa, nel quale in quattro parti serra

il ghiaccio i traditor: quivi ghermito

Sassol de' Mascheron nella Caina,

e 'l Camiscion de' Pazzi, ebbe sentito.

Poscia nell'Antenora, ivi vicina,

tra gli altri dolorosi vide il Bocca,

e di Gian Soldanier l'alma meschina,

ed altri molti, ch'ora a dir non tocca,

sí come l'arcivescovo Ruggieri,

ed il conte Ugolino, anima sciocca.

Piú oltre andando pe' freddi sentieri,

spiriti truova nella Ptolomea

giacer riversi ne' ghiacci severi.

Quivi, racconta, l'alma si vedea

di Brancadoria e di frate Alberico,

che senza pro de' frutti si dolea.

Appresso vede l'Avversario antico

nel centro fitto, e Iuda Scariotto,

e Cassio e Bruto, di Cesar nemico,

nell'infima Iudecca star di sotto.

Quindi, pe' velli del fiero animale

discendendo, e salendo, il duca dotto

lui di fuor tira da cotanto male

per un pertugio, onde le cose belle

prima rivide, e per cotali scale

usciron quindi «a riveder le stelle».


AL PURGATORIO


«Per correr miglior acqua alza le vele»

qui lo autore, e, seguendo Virgilio,

pe' dolci pomi sale e lascia il fiele.

Catón primier, fuor dell'eterno esilio,

truovano e seco parlan, procedendo;

poi dánno effetto al suo santo consilio.

Su la marina vede, discendendo

nell'aurora, piú anime sante,

e 'l suo Casella, al cui canto attendendo,

mentre l'anime nuove tutte quante

givan con lor, rimorsi da Catone,

fuggendo al monte ne girono avante.

Incerti quivi della regione,

truovan Manfredi ed altri, che moriro

per colpa fuor di nostra comunione

col perder tempo, adequare il martiro

alla lor colpa; e quindi, ragionando,

del solar corso gli solve il desiro

l'alto poeta sedendosi, quando

Belacqua vider per negghienza starsi;

e giá levati verso l'alto andando,

Bonconte ed altri molti incontro farsi

vider, li quali infino all'ultim'ora,

uccisi, a Dio penâro a ritornarsi.

Quindi Sordel trovar sol far dimora,

il qual, poi che l'autor molto ha parlato

contro ad Italia, il gran Virgilio onora.

Poi mena loro in un vallone ornato

d'erbe e di fior, nel qual, cantando, addita,

a Virgilio Sordello stando allato,

spiriti d'alta fama in questa vita,

tra' quai discesi, il Gallo di Gallura

riceve l'autor; quindi, finita

del di la luce, vede dell'altura

due angeli con due spade affocate

discender ad aver di costor cura.

Poscia, dormendo, con penne dorate

gli par che 'n alto un'aquila nel porti

d'infino al foco; quindi, alte levate

le luci, spaventato, da' conforti

fatto sicur di Virgilio, Lucia

gli mostra quivi loro avere scorti.

Del purgatorio gli addita la via,

dove venuti, qual fosse disegna

la porta, e' gradi onde a quel si salía,

chi fosse il portinaio, che veste tegna,

e quai fosser le chiavi, e che scrivesse

nella sua fronte, e che far si convegna

a chi passa lá dentro pone expresse.

E quindi come en la prima cornice

dichiara con fatica si giugnesse;

ed intagliate in alta parte dice

di quella istorie d'umiltá verace:

poi spirti carchi dall'una pendice

vede venir cantando, ed orar pace

per sé e per altrui, purgando quello

che ne' mortal superbia sozzo face;

tra' quali Umberto ed Odorisi, ad ello

appresso, e simil Provinzan Silvani

piangendo vide sotto il fascio fello.

Oltre passando pe' sentieri strani,

sotto le piante sue effigiati

vide gli altieri spiriti mondani.

Da uno splendido angiolo invitati

piú leggier salgono al giron secondo,

perché li «P» l'autor trovò scemati.

Lí alte voci, mosse dal profondo

ardor di caritá, udir volanti

per l'aere puro del levato mondo;

e poi che giunti furon piú avanti,

videro spirti cigliati sedere,

vestiti di ciliccio tutti quanti,

perché la invidia lor tolse il vedere:

Guido del Duca, Sapia e Rinieri

da Calvol truova lí piangere, e vere

cose racconta di tutti i sentieri

onde Arno cade, e simil di Romagna;

quindi altri suon sentiron piú severi.

Ed oltre su salendo la montagna,

da un altro angelo invitati foro,

parlando dell'orribile magagna

d'invidia, e dell'opposito, fra loro,

e, di sé tratto andando, vide cose

pacefiche in aspetto; né dimoro

fe' guari in quelle, che 'n caliginose

parti del monte entraron, dove l'ira

molti piangean con parole pietose.

Quivi gli mostra Marco quanto mira

nostra potenzia sia, e quanto possa

di sua natura, e quanto dal ciel tira.

Appresso usciti dall'aria grossa,

imaginando vede crudi effetti

venuti in molti da ira commossa.

Quivi gl'invia un angel; per che, stretti

alla grotta amendue, a non salire

dalla notte vegnente fûr costretti.

Posti a sedere incominciaro a dire

insieme dell'amor del bene scemo,

che 'n quel giron s'empieva con martire,

dove, sí come noi veder potemo,

distintamente Virgilio ragiona

come si scemi in uno ed altro estremo,

che sia amor, del quale ogni persona

tanto favella, e come nasca in noi.

L'abate li di San Zen da Verona

con altri assai correndo vede poi

e con lui parla, e seguel nell'oscuro

tempo, con altri retro a' passi suoi,

come sentendo si rifá maturo

d'accidia l'acerbo. Indi ne mostra

come, dormendo in sul macigno duro,

qual fosse vide la nemica nostra,

e come da noi partasi, e, sdormito,

come venisse nella quinta chiostra,

fattogli a ciò da uno angel lo 'nvito.

Quivi giacendo assai spiriti truova,

che d'avarizia piangon l'acquisito

in giú rivolti e, perch'el non sen mova

alcun, legati tutti; e quivi parla

con un papa dal Fiesco; appresso pruova

l'onesta povertá, ed a lodarla

Ugo Ciappetta induce, i cui nepoti

nascer dimostra tutti atti a schifarla,

pien d'avarizia e d'ogni virtú vòti;

e come poscia contro alla nequizia,

passato il dí, cantando, vi si noti.

Quindi, per tutto, novella letizia,

ed il monte tremare infino al basso

dimostra, mosso da vera giustizia.

Qui truova Stazio non a lento passo

salire in su, al qual Virgilio chiede

della cagion del triemito del sasso.

la quale Stazio assegna; indi succede

al priego suo ancora a nominarsi.

Quindi, com'uom ch'appena quel che vede

crede, dichiara Stazio avanti farsi

ad onorar Virgilio, e gli fa chiaro

lui, per contrario peccato agli scarsi,

aver per molti secoli l'amaro

monte provato. E giá nel cerchio sesto,

parlando insieme, uno albero trovâro

donde una voce lor disse il modesto

gusto di molti; e, piú propinqui fatti,

chiaro s'avvider ch'ogni ramo in questo

albero è vòlto in giú, e d'alto tratti

vider cader liquor di foglia in foglia,

e sotto ad esso spirti macri e ratti

vider venir piú che per altra soglia

dell'erto monte, e pure in sú la vista

alli pomi tenean, che sí gl'invoglia.

Cosí andando infra la turba trista,

raffigurollo l'ombra di Forese:

con lui favella; e della gente mista

piú riconobbe, e, tra gli altri, il lucchese

Bonagiunta Orbiccian; poi una voce

all'albero appressarsi lor difese.

Un angel quinci al martiro che cuoce

gl'invita, ed essi, per l'ora che tarda

era, ciascun n'andava sú veloce,

mostrando Stazio a lui, se ben si guarda,

nostra generazione, e come l'ombra

prenda sembianza di corpo bugiarda,

e come sia da passione ingombra:

e, sí andando, pervennero al foco,

prima che 'l santo monte facesse ombra;

lungo 'l qual trapassando per un poco

d'un sentieruolo udîr voci nemiche

al vizio di lussuria, ed in quel loco

piú anime conobbe, che 'mpudiche

furon vivendo, e Guido Guinizelli

gli mostra Arnaldo in sí aspre fatiche.

Ma, poi che s'è dipartito da elli,

a trapassar lo foco i cari duci

confortan lui, ch'appena in mezzo a quelli

il trapassò. Di quindi a l'alte luci

salir gl'invita uno angel che cantava,

pria s'ascondesser li raggi caduci.

Vede nel sonno poi Lia che s'ornava

di fior la testa, cantando parole

nelle quali essa chi fosse mostrava.

Quindi levato nel levar del sole,

Virgilio di sé stesso il fa maestro,

sul monte giunti, e può far ciò che vuole.

Venuti adunque nel loco silvestro

truova una selva, ed in quella si spazia

su per lo lito di Letè sinestro.

Vede una donna, che a lui di grazia

parla e con verissime ragioni:

del fiume il moto e dell'aura il sazia.

Di quinci a vie piú alte ammirazioni

venuto, sette candelabri e molte

genti precedere un carro, i timoni

del qual traeva, con l'alie in sú vòlte,

un grifon d'oro, quanto uccel vedeasi,

l'altro di carne, alle cui rote accolte

da ogni parte una danza moveasi

di certe donne, e nel mezzo Beatrice

del tratto carro splendida sedeasi.

Da cosí alta vista e sí felice

percosso, da Virgilio con Istazio

esser lasciato lagrimando dice.

Appresso questo non per lungo spazio,

con agre riprension la donna il morde,

senza aver luogo a ricoprir mendazio;

per che le sue virtú quasi concorde

li venner meno, e cadde, né sentisse

pria ch'alle sue orecchi, ad altro sorde,

pervenne: - Tiemmi; - onde, anzi ch'egli uscisse, da una donna tratto per lo fiume, l'acqua convenne che egli inghiottisse.

Poi quattro donne, secondo il costume

di loro, il ricevettero, e menârlo

di Beatrice avanti al chiaro lume.

Qual gli paresse il suo viso, pensarlo

ciascun che 'ntende può; poi la virtute

gli mancò qui a poter divisarlo.

I casi avversi appresso, e la salute

della Chiesa di Dio, sotto figmento

delle future come delle sute

cose, disegna; poi il cominciamento

di Tigri e d'Eufrate vede in cima

del monte, e con Matelda va contento,

e con Istazio, ad Eunòe prima;

donde bagnato, e rimenato a quelle

donne beate, finisce la rima,

«puro e disposto a salire alle stelle».


AL PARADISO


«La gloria di Colui che tutto move»

in questa parte mostra l'autore

a suo poder, qual ei la vide e dove.

Ed invocato d'Apollo l'ardore,

di sé incerto, retro a Beatrice

pe' raggi sen salí del suo splendore

nel primo ciel, lá, onde a ciascun dice,

men sofficiente, che retro a sua barca

piú non si metta fra 'l regno felice.

E mentre avanti cantando travarca,

de' segni della luna fa quistione

alla sua guida, e quella se ne scarca.

Poi c'ha udita la sua opinione,

e, premettendo alcuna esperienza,

chiaro nel fa con aperta ragione,

Piccarda vede, e della sua essenza

nel primo cielo «per manco di voto»

con lei favella; e, della sua presenza

partita, Beatrice a lui divoto

qual vïolenza il voto manco faccia

distingue ed apre; e simil gli fa noto

perché gli paia i cieli aprir le braccia

a diversi diversi, e come siéno

però presenti alla divina faccia;

quindi, con viso ancora piú sereno,

se sodisfare a' voti permutando

si possa o no, a lui dichiara appieno;

e nel ciel di Mercurio ragionando

veloci passan. Lí Giustiniano

prima di sé sodisfá al dimando;

appresso, quanto lo 'mperio romano

sotto il segno dell'aquila facesse

gli mostra in parte, e poi a mano a mano,

parlando seco, volle ch'el sapesse

Romeo in quella luce gloriarsi,

che fe' quattro reine di contesse.

Induce poi Beatrice a dichiararsi,

«come giusta vendetta giustamente

fosse vengiata»; e quindi trasportarsi

nel terzo ciel, veggendo piú lucente

la donna sua, s'avvide. Ivi con Carlo

Martel favella, il quale apertamente

gli solve ciò che 'l mosse a dimandarlo,

come di dolce seme nasca amaro;

quindi Cunizza viene a visitarlo,

e del futuro alquanto gli fa chiaro

sovra i lombardi, e con Folco favella,

che gli mostra Raab. Indi montâro

nella spera del sole, onde una bella

danza di molti spiriti beati

vede far festa, e nel girarsi snella;

de' quai gli furon molti nominati

da Tommaso d'Aquin, che di Francesco

molto gli parla poi e dei suoi frati.

Poi scrive un cerchio sovraggiugner fresco

a questo, e 'n quel parlar Bonaventura

da Bagnoreo del calagoresco

Domenico, nel qual fu tanta cura

della fé nostra e dell'orto divino,

quanta mai fosse in altra creatura.

Poi rincomincia Tommaso d'Aquino

com'egli intenda: «Non surse il secondo»

di Salamone, e con chiaro latino

gliele dimostra, ed un lume giocondo

l'accerta lor, piú lieti e piú lucenti,

come i lor corpi riavran del mondo.

Quindi nel quinto ciel di lucolenti

spiriti vede una mirabil croce,

della quale un de' suoi primi parenti

gli fa carezze, e con soave voce

gli si discuopre, e mostra quale stato

Fiorenza avesse, quando nel feroce

e labil mondo fu da pria creato;

quindi le schiatte piú di nome degne

nomina tutte, da lui dimandato.

Poi gli fa chiare le parole pregne

di Farinata, e 'n purgatoro udite,

a lui mostrando del futuro insegne.

Appresso ancor con parole espedite

gli nomina di quei santi fulgori

Iosuè, Iuda, Carlo e piú, scolpite

da lui nel nominar per gli splendori

cresciuti. E quindi nel Giove sen sale,

dove un'aquila fanno i santi ardori

di sé mirabile e bella, la quale

gli solve il dubbio d'un che nato sia

su lito, senza udire o bene o male

di Dio, mostrando quel che di lui fia;

quindi Davit e Traiano e Rifeo

gli mostra, ed altri en la sua luce dia.

Poi 'l chiarisce d'un dubbio che si feo

in lui, de' due che appaion pagani

nel primo aspetto. Quindi uno scaleo,

salito nel Saturno, di sovrani

lumi ripien discerne, onde altro scende

ed altro sale, e con Pier Damiani

ragiona lí; e qual quivi risplende

gli parla e noma piú contemplativi

quel Benedetto onde Casin dipende.

Sal nell'ottavo del poscia di quivi,

e, nel segno de' Gemini venuto,

le sette spere ed i corpi passivi

si vede sotto i piè. Poi conosciuto

Cefas, sua fede e suo creder confessa,

da lui richesto, a lui tutto compiuto.

Con voce appresso lucolenta e spressa

al baron di Galizia la speranza

dice che è, e che spetta per essa;

indi venire a cosí alta danza

Giovanni mostra, il qual del corpo morto

di lui di terra il cava d'ogni erranza.

Poi seguitando, al suo domando accorto,

che cosa sia la caritá, risponde,

e qual da lei gli proceda conforto.

Appresso scrive come alle gioconde

luci s'aggiunse quel padre vetusto

che prima fu da Dio creato, e donde

tutti nascemmo, e per lo cui mal gusto

tutti moiamo: il qual del suo uscire

laonde posto fu, e quanto giusto

in quello stesse, e quanto il gran desire

di quella gloria avesse, e la dimora

quanto fu lunga qui dopo 'l fallire

gli conta, ed altre cose. Indi colora,

quasi infiammato, il vicaro di Dio

contr'a' pastor che ci governano ora.

Poi come nel ciel nono sen salío

discrive, dove l'angelica festa

in nove cerchi vede e 'l suo disio;

di lor natura lí gli manifesta

con sermon lungo assai mirabil cose,

e della turba che ne cadde mesta.

Poi vede le milizie gloriose

del nuovo e dell'antico Testamento,

che bene ovrando a Dio si fêro spose

nel ciel piú alto sovra il fermamento,

dove 'l solio d'Enrico ancor vacante

discerne. E quivi lui, che stava attento

a riguardar le creature sante,

lascia Beatrice, ed in loco di lei

Bernardo con lo sguardo il guida avante,

dove, poi c'ha orazione a lei,

cui seder vede dove la sortiro

gli merti suoi, gli è mostrata colei

che sposa antica fu del primo viro,

Rachel, Sara, Rebecca e 'l gran Giovanni,

che pria il deserto, e poi provò il martíro.

Appresso poi in piú sublimi scanni

Francesco ed Agostino e Benedetto,

e quei che trapassâr ne' teneri anni,

vede, de' quali il dottor sopra detto,

dico Bernardo, ragionando ad ello,

caccia ogni dubbio fuor del suo concetto.

Quindi il santo grazioso e bello

piú ch'altro di Maria gli mostra il viso,

e davanti da lei quel Gabriello

che 'l decreto recò di paradiso

della nostra salute, tanto lieto

che qui per non poter ben nol diviso:

onesto l'uno e l'altro e mansueto.

Adamo e Pietro e poi il vangelista

Giovanni lí seder vede, ripleto

d'alta letizia, e quindi il gran legista

Moisé vede, e poi Lucia ed Anna;

e punto fa alla gioiosa vista.

Appresso, acciò che la divina manna

discenda in lui, e faccial poderoso

a veder ciò per che ciascun s'affanna,

umile quanto può, nel grazioso

cospetto della Madre d'ogni grazia,

insieme col dottor di lei focoso

orando, priega che la vista sazia

del primo Amor gli sia, e per lo lume,

che senza fine profondo si spazia,

ficca degli occhi suoi il forte acume;

poi, disegnando quanto ne raccolse,

termine pone al suo alto volume,

mostrando come in quel tutto si volse

l'alto disio ed alle cose belle,

e come ogni altro appetito gli tolse

«l'Amor che muove il sole e l'altre stelle».


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