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jueves, 27 de agosto de 2020

Paradiso, Canto XXIV

CANTO XXIV

[Canto XXIV, dove si tratta de la nona e ultima parte di questa ultima cantica; ne la quale san Pietro Appostolo a priego di Beatrice essamina l'auttore sopra la fede cattolica.]

«O sodalizio eletto a la gran cena

del benedetto Agnello, il qual vi ciba

sì, che la vostra voglia è sempre piena,

se per grazia di Dio questi preliba

di quel che cade de la vostra mensa,

prima che morte tempo li prescriba,

ponete mente a l'affezione immensa

e roratelo alquanto: voi bevete

sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa».

Così Beatrice; e quelle anime liete

si fero spere sopra fissi poli,

fiammando, volte, a guisa di comete.

E come cerchi in tempra d'orïuoli

si giran sì, che 'l primo a chi pon mente

quïeto pare, e l'ultimo che voli;

così quelle carole, differente-

mente danzando, de la sua ricchezza

mi facieno stimar, veloci e lente.

Di quella ch'io notai di più carezza

vid' ïo uscire un foco sì felice,

che nullo vi lasciò di più chiarezza;

e tre fïate intorno di Beatrice

si volse con un canto tanto divo,

che la mia fantasia nol mi ridice.

Però salta la penna e non lo scrivo:

ché l'imagine nostra a cotai pieghe,

non che 'l parlare, è troppo color vivo.

«O santa suora mia che sì ne prieghe

divota, per lo tuo ardente affetto

da quella bella spera mi disleghe».

Poscia fermato, il foco benedetto

a la mia donna dirizzò lo spiro,

che favellò così com' i' ho detto.

Ed ella: «O luce etterna del gran viro

a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,

ch'ei portò giù, di questo gaudio miro,

tenta costui di punti lievi e gravi,

come ti piace, intorno de la fede,

per la qual tu su per lo mare andavi.

S'elli ama bene e bene spera e crede,

non t'è occulto, perché 'l viso hai quivi

dov' ogne cosa dipinta si vede;

ma perché questo regno ha fatto civi

per la verace fede, a glorïarla,

di lei parlare è ben ch'a lui arrivi».

Sì come il baccialier s'arma e non parla

fin che 'l maestro la question propone,

per approvarla, non per terminarla,

così m'armava io d'ogne ragione

mentre ch'ella dicea, per esser presto

a tal querente e a tal professione.

«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:

fede che è?». Ond' io levai la fronte

in quella luce onde spirava questo;

poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte

sembianze femmi perch' ïo spandessi

l'acqua di fuor del mio interno fonte.

«La Grazia che mi dà ch'io mi confessi»,

comincia' io, «da l'alto primipilo,

faccia li miei concetti bene espressi».

E seguitai: «Come 'l verace stilo

ne scrisse, padre, del tuo caro frate

che mise teco Roma nel buon filo,

fede è sustanza di cose sperate

e argomento de le non parventi;

e questa pare a me sua quiditate».

Allora udi': «Dirittamente senti,

se bene intendi perché la ripuose

tra le sustanze, e poi tra li argomenti».

E io appresso: «Le profonde cose

che mi largiscon qui la lor parvenza,

a li occhi di là giù son sì ascose,

che l'esser loro v'è in sola credenza,

sopra la qual si fonda l'alta spene;

e però di sustanza prende intenza.

E da questa credenza ci convene

silogizzar, sanz' avere altra vista:

però intenza d'argomento tene».

Allora udi': «Se quantunque s'acquista

giù per dottrina, fosse così 'nteso,

non lì avria loco ingegno di sofista».

Così spirò di quello amore acceso;

indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa

d'esta moneta già la lega e 'l peso;

ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa».

Ond' io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,

che nel suo conio nulla mi s'inforsa».

Appresso uscì de la luce profonda

che lì splendeva: «Questa cara gioia

sopra la quale ogne virtù si fonda,

onde ti venne?». E io: «La larga ploia

de lo Spirito Santo, ch'è diffusa

in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia,

silogismo che la m'ha conchiusa

acutamente sì, che 'nverso d'ella

ogne dimostrazion mi pare ottusa».

Io udi' poi: «L'antica e la novella

proposizion che così ti conchiude,

perché l'hai tu per divina favella?».

E io: «La prova che 'l ver mi dischiude,

son l'opere seguite, a che natura

non scalda ferro mai né batte incude».

Risposto fummi: «Dì, chi t'assicura

che quell' opere fosser? Quel medesmo

che vuol provarsi, non altri, il ti giura».

«Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo»,

diss' io, «sanza miracoli, quest' uno

è tal, che li altri non sono il centesmo:

ché tu intrasti povero e digiuno

in campo, a seminar la buona pianta

che fu già vite e ora è fatta pruno».

Finito questo, l'alta corte santa

risonò per le spere un 'Dio laudamo'

ne la melode che là sù si canta.

E quel baron che sì di ramo in ramo,

essaminando, già tratto m'avea,

che a l'ultime fronde appressavamo,

ricominciò: «La Grazia, che donnea

con la tua mente, la bocca t'aperse

infino a qui come aprir si dovea,

sì ch'io approvo ciò che fuori emerse;

ma or convien espremer quel che credi,

e onde a la credenza tua s'offerse».

«O santo padre, e spirito che vedi

ciò che credesti sì, che tu vincesti

ver' lo sepulcro più giovani piedi»,

comincia' io, «tu vuo' ch'io manifesti

la forma qui del pronto creder mio,

e anche la cagion di lui chiedesti.

E io rispondo: Io credo in uno Dio

solo ed etterno, che tutto 'l ciel move,

non moto, con amore e con disio;

e a tal creder non ho io pur prove

fisice e metafisice, ma dalmi

anche la verità che quinci piove

per Moïsè, per profeti e per salmi,

per l'Evangelio e per voi che scriveste

poi che l'ardente Spirto vi fé almi;

e credo in tre persone etterne, e queste

credo una essenza sì una e sì trina,

che soffera congiunto 'sono' ed 'este'.

De la profonda condizion divina

ch'io tocco mo, la mente mi sigilla

più volte l'evangelica dottrina.

Quest' è 'l principio, quest' è la favilla

che si dilata in fiamma poi vivace,

e come stella in cielo in me scintilla».

Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace,

da indi abbraccia il servo, gratulando

per la novella, tosto ch'el si tace;

così, benedicendomi cantando,

tre volte cinse me, sì com' io tacqui,

l'appostolico lume al cui comando

io avea detto: sì nel dir li piacqui!

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